Dal bianco e nero di Luciano Emmer ai colori moderni e pastosi di Matteo Cerami (il merito è della buona fotografia di Maurizio Calvesi), passando sul ponte Citti con splendida vista sulla Roma delle domeniche d'agosto, dei quartieri stravolti dal consumismo, unica vera colpa dei fagottari imbottigliati sull'Ostiense per un posto al sole. Il cerchio si chiude attorno ad un paese abbruttito dalla sua rinuncia alla storia. Per fortuna che attraverso un esilarante gioco di memoria fatto da Proietti, Sergio Citti diventa ad "honorem" uno dei sette re di Roma.
Li chiamano "remake", omaggi, rifacimenti. Mai come in questo caso il termine si rivela inappropriato, riduttivo. Perchè "Tutti al mare" ha solo dei forti legami sentimentali con la geniale operazione cinematografica al quale dice di ispirarsi, rivendicando una paternità forse legittima, ma di fatto superflua. E' rimasto in sella un produttore coraggioso (Gianfranco Piccioli), uno sceneggiatore ritrattista (Vincenzo Cerami) che aveva immortalato nella sua splendida istantanea le conseguenze del mutamento di una città, intrappolandola in una cabina della spiaggia, due attori (Proietti e Davoli) testimoni essenziali in entrambe le operazioni. E' sparito lo spirito, quello si, a braccetto col coraggio, così come la voglia di sciacquare in burla l'evoluzione antropologica inquadrata nel mirino nell'arco di una giornata al mare. Si è dilatato lo spazio, appesantito l'insieme: i brutti son diventati mostri.
Dal mitico"casotto" l'azione si sposta all'interno di uno chalet balneare, gestito da Maurizio (Marco Giallini), in compagnia di una madre immobilizzata sulla sedia a rotelle (Ilaria Occhini) al quale lo lega un rapporto tenero e complesso. Siamo in alta stagione, gente che va e gente che viene. C'è uno smemorato cleptomane (Luigi Proietti) che tiene banco e alleggerisce gli avventori, un tizio scansato da tutti per le sue rinomate qualità iettatorie (Franco Pistoni), un ambiguo triangolo con due amici (De Rienzo e Montanari) ed una donna forse contesa, un nostalgico (Fiorentini) che ricorda la campagna d'Africa mentre lecca il gelato, un cavallo bianco senza padrone che sbuca all'improvviso scalpitando in spiaggia, due ragazze che si amano e sognano la maternità, un tizio strambo (Vincenzo Cerami) con unghia laccate e un pappagallo in gabbia, un aspirante suicida (Fantastichini) che farnetica, viene colto da crisi mistiche per poi essere caricato dalla Digos come un terrorista. Un pescivendolo truffaldino finge di sbarcare pesce di paranza in realtà congelatissimo, le forze dell'ordine si danno il cambio accettando ospitalità, rinviando di fatto i controlli. Poi la giornata finisce, i coatti tornano a casa e lo stabilimento si trasforma in un elegante locale alla moda...
Operazione anomala, completamente fuori dalle tendenze dell'attuale commedia italiana (ed è una fortuna), "Tutti al mare" ha l'unico torto di spiazzare lo spettatore inconsapevolmente attratto dalla locandina invitante e forse un pò ruffiana. Non è infatti un cinecocomero che si aggancia alla nuova e precaria stagione della resuscitata commedia balneare. E' un film piacevole e sgradevole, gustoso ed amaro, ironico e spietato sull'Italietta al mare che ora ha il cellulare e ha perso un pò di vergogna, diversa da quella che popolava il "casotto" del 1977. Sono sparsi alla rinfusa omaggi strazianti legati al mondo cittiano e pasoliniano: una sigaretta che non s'accende, una soap opera rivoltante (che proviene da un altro film), una sequenza onirica, le nuvole che disegnano la "bellezza del creato" anche se al posto di Totò e Ninetto ci finiscono due clandestini. I personaggi si esauriscono in tempo reale, come se Cerami fosse riuscito anche stavolta a cogliere il lato effimero dell'esistenza, adattandolo all'attuale imbarbarimento che sembra più distorto. Ciò che è voluto appare irrisolto. Ed è un peccato: il limite che si accusa al film, forse è davvero studiato a tavolino. Attori capaci, altri semplicemente straordinari (merito di un bravissimo Marco Giallini), partecipazioni amichevoli e speciali contribuiscono a dare freschezza ad un progetto con un retrogusto antico. Che ha il grande pregio di offrire allo spettatore la ghiotta possibilità di respirare sano cinema alternativo e di ritrovare collaudate capacità che si perdono, purtroppo, in un ricambio generazionale (ma Matteo Cerami forse è un'eccezione) che non si è più verificato. Si ride, si mastica amaro, a volte si riacutizza il dolore. Come nella terribile sequenza della giornalista trash-televisiva (Anna Bonaiuto) che, spaparanzata sulla ciambella, pianifica la sua trasmissione in prima serata mentre un gommone carico di extracomunitari si appresta ad uno sbarco della speranza. Al piacevole tintinnio della pioggia liberatoria si sostituisce infatti il frastuono delle pale degli elicotteri sopraggiunti per presidiare le coste. La tragica realtà ha soffocato la gioia: sono cambiati i tempi o, forse, più semplicemente, si è solo esaurita la voglia di ridere.
Uci Cinemas, Molfetta - 13 Marzo 2011 (Barisera) |