Ridimensionato dallo stesso Monicelli che lo considerava semplicemente un film riuscito e non un capolavoro, "Amici miei", al di fuori delle legittime considerazioni del suo autore, resta indubbiamente una tappa fondamentale nella storia della commedia italiana, un modello forte, come "I soliti ignoti" lo era stato nel precedente ventennio. Una pellicola molto vicina al cuore degli spettatori, difesa per anni dai frequenti tentativi di imitazione, con un accanimento insolito che gli stessi esecutori del "prequel" hanno definito integralista. Il manto di protezione è caduto sotto i colpi sferrati da un mercato cinematografico che continua a confondere il cinema d'autore con l'industria di routine. Il recente tentativo di riformulare la commedia classica, figlio di un consapevole sfruttamento del fondo del barile, non ha preservato abbastanza il film originale dal moderno vezzo di voler rifare ad ogni costo i modelli del passato. Ne è venuto fuori, inevitabilmente, un film scomodo, poco gradito, un tentativo avventato e rischioso d'oltraggio alla memoria di sceneggiatori esperti e di attori ormai irraggiungibili e ben piazzati nell'Olimpo. Si è detto, anche, che il progetto fosse antico, addirittura supervisionato e fortemente voluto dagli stessi vecchi autori e che per una serie di circostanze fosse stato semplicemente rinviato nel corso degli anni. Il che non muta di una virgola e nemmeno nobilita in sostanza il risultato finale. Va anche ricordato che in un certo senso nel '400 Neri Parenti c'era già stato, pregustando la ghiotta occasione, in una tappa di "A spasso del tempo" con De Sica e Boldi, a sua volta in debito con Benigni e Troisi in "Non ci resta che piangere". Insomma classici spettri della brutta copia, modesti tentativi fallimentari di riciclaggio. Per mandar giù la pillola in questione bisogna comunque fare un doppio sforzo: valutare la pellicola senza fare nessun accostamento e contemplare la pregevolezza del contenitore rispetto alla scarsa misura del contenuto. Il dato che balza subito agli occhi è confortante: da anni nel cinema italiano non si vedeva un set fastoso ed impegnativo con dispendio di mezzi, comparse, costumi e quant'altro. E la pregevole fotografia di Luciano Tovoli si sforza di restituire dignità e calore ad una struttura scarna, priva di spessore. Per questo motivo i cinque personaggi che si divertono a sbeffeggiarsi reciprocamente nella paciosa e gaudente Firenze rinascimentale sembrano più vicini a Boccaccio e ai decamerotici che lontani parenti degli "zingari" disegnati da Pietro Germi. Uniti da uno spirito misogino e cattivo, i cinque signori giocano con la vita convivendo con le invettive del Savonarola, la pestilenza che bussa alle porte e i poveri grulli che cadono nella rete. C'è un legnaiolo (Ceccherini), vittima predestinata, ai cui danni viene architettata una beffa ad orologeria, ma il dato sconvolgente e che gli amici si sollazzano tendendosi rispettivi tranelli, mettendo a repentaglio equilibri familiari precari e rischiando di finire alla gogna. Il film non va ben oltre una struttura episodica che dispensa omaggi telefonati ai capolavori di Monicelli; la trivialità non è tenuta a bada abbastanza, così come lo spessore degli attori, sovrastati dai meccanismi cinepanettoniani, incapaci nel riuscire a sfruttare i requisiti elementari di commedia popolare. Quel sano cinismo che era linfa vitale, si tramuta in un penoso e piatto limite di stampo televisivo che stringe nella morsa anche i buoni propositi di Parenti nell'avvicinarsi a quel film straordinario con devozione e riverenza. Peccato che gli esecutori non siano all'altezza e che alcune forzature (la genesi della supercazzola nell'epilogo) si rivelino inappropriate ed inconsistenti. Così come l'insistente voce fuori campo: un respiro favolistico alle zingarate? Benvenuti, De Bernardi e Pinelli come i fratelli Grimm? Suvvia, diamoci un taglio. Gli spettatori più attenti non potranno fare a meno di notare che la grande beffa finale, quella organizzata con la tacita complicità di un Lorenzo il Magnifico burlone (Alessandro Benvenuti), provenga addirittura da "Il marchese del Grillo", sempre diretto da Monicelli. Auguriamoci che il detentore dei diritti abbia il buon senso di non cadere in tragiche, imperdonabili tentazioni...
Uci Cinemas, Molfetta - 16 Marzo 2011 |