In campo cinematografico, si sa, l'ingegno è energia vitale, un attrezzo indispensabile del mestiere. Ne sanno qualcosa gli autori di buona volontà che devono arrabattarsi fra preventivi alti, difficoltà realizzative e insormontabili ostacoli produttivi, cercando la scorciatoia migliore. Non parliamo poi degli operatori costretti a inventarsi inquadrature alla giornata, per colmare la mancanza del necessario. L'ostacolo si aggira, appunto, con il buon senso e l'arte di arrangiarsi. Ecco allora come si spiega il fenomeno recente legato all'incremento di pellicole low budget che mirano ad emozionare (o condizionare) lo spettatore in sala senza per forza ricorrere allo sperpero di mezzi. "Frozen" solletica le fobie ancestrali e le suggestioni provocate dai rischi di incidenti possibili. E' un film ad "esecuzione ridotta": tre protagonisti al massimo, intrappolati in una situazione difficile, con un luogo filmico circoscritto e limitato e con lo spettatore incuriosito dalla piega dell'epilogo, dal brivido dell'imprevisto. La formula è stata già applicata di recente, ad esempio, con alcuni malcapitati subacquei dimenticati in mare aperto, attorniati dagli squali, o con alcuni poveri passeggeri bloccati in ascensore, o con uno scalatore sfortunato impigliato sotto un macigno. Qui, occhio, le paure di riferimento sono rappresentate da vertigini, assideramento accese dal fuoco vivo dell'impotenza.
Tre amici (due ragazzi ed una ragazza) decidono di trascorrere una domenica pomeriggio su una pista da sci e, con la complicità dell'addetto all'impianto di risalita, si apprestano a concludere allegramente la giornata. Ma per un malinteso vengono dimenticati, completamente soli, a bordo della seggiovia. Non è un guasto, e lo si capisce subito dal fatto che all'imbrunire tutte le luci dell'impianto si spengono. L'impianto resterà fermo fino al venerdì successivo: in bassa stagione funziona così. Prima d'allora nessuno potrà accorgersi della loro presenza. Inizia una tragica lotta contro molti nemici: la bufera in arrivo, i rischi di assideramento, i famelici lupi che cominciano ad avvicinarsi alle prede aspettando un cedimento. Il conto alla rovescia verso la sopravvivenza riserverà brutte sorprese e qualche buona notizia: non tutti, comunque, avranno modo di raccontare questa atroce esperienza.
Angoscia e verosimiglianza: due gradazioni che "Frozen" cerca di mantenere ai livelli massimi per colmare la difficoltà oggettiva di riuscire a raccontare in un'ora le fasi concitate, infiammate da paura e disperazione. Nobilitato da uno stile che lo rende complessivamente superiore ai sottoprodotti legati al cinema di genere, sembra infatti un thriller d'autore, una lezione di stile che attinge alla cattedra del "dogma". Ed infatti è finito al "Sundance". Adam Green non cerca l'emozione facile e nemmeno vuole solleticare i bisogni più elementari in perfetta sintonia con i teen movie. "Frozen" descrive i pericoli del mondo reale, pescando comunque dall'immaginario popolare, risultando in definitiva avvincente. Molto meno credibile lo spunto dei cellulari lasciati a poltrire negli armadietti dello spogliatoio. Oggi l'SOS si chiama SMS, non le pare?
Uci Cinemas, Molfetta - 27 Marzo 2011
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