La commedia italiana, ne approfitta e sfila sulla passerella illuminata dai fari accesi del revival (ma adesso, forse, si sta un pò esagerando), cerca di darsi un contegno e sconfina nel sociale. Le buone intenzioni, ad ogni buon conto, stavolta non coincidono con un film riuscito. "C'è chi dice no" (titolo che rimanda ad un famoso pezzo di Vasco Rossi, qui comunque non pervenuto) affronta di petto la piaga delle raccomandazioni. Spintarelle, calci nel sedere e ceffoni sferrati alla meritocrazia. Le nuove generazioni, divise fra la mancanza d'applicazione e lo sconforto per il miraggio del posto fisso. Un deprimente viavai di figli di papà, parenti degli amici a colmare il vuoto istituzionale. Un giornalista (Argentero) vede sfumare all'improvviso la tanto desiderata assunzione, una dottoressa (Cortellesi) assiste impassibile ad un vero e proprio furto di merito: la promozione viene assegnata alla compagna del figlio del primario. Non parliamo poi della situazione universitaria: un principe del foro (Albertazzi) assegna la cattedra al suo futuro genero incapace, mandando in depressione un ricercatore (Ruffini) di belle speranze. I tre poveri trombati, allora, si coalizzano per combattere in nemico comune. Costituiscono un gruppo eversivo ("I pirati del merito") e cominciano a turbare la quiete dei cialtroni che gli hanno rovinato la vita. Il gioco inizia con burle innocenti, per proseguire poi con scherzi pesanti ai limiti del codice penale. Eppure inevitabilmente il muro di gomma dell'omertà e della collusione comincia a sgretolarsi. Le acque si agitano: gli odiosi raccomandati si ritrovano una "pittima" alle spalle. Ovvero un tizio incappucciato che li segue come un'ombra, a ricordare che non c'è alcun diritto nella loro assunzione. Il finale buonista e accomodante ci ricorda, prima che sia troppo tardi, che in fondo abbiamo solo scherzato.
Sarebbe opportuno che qualcuno cominciasse a dire no ai pallidi e inutili tentativi di "commedia impegnata": sotto l'apparente castello dell'impegno ci sono fondamenta d'argilla. Paola Cortellesi si fa concorrenza da sola: esce un suo film, mentre un altro a lunga tenitura continua a fruttare incassi al noleggio. E' l'unica nota intonata (tra l'altro si tratta di un personaggio minore) di un film che non va oltre l'ispirato spunto di partenza. Un piattume televisivo, una mancanza di originalità e la latitanza di sano umorismo contribuiscono ad appesantire l'insieme e a portare carichi di noia. Messa a nudo, rivoltata come un calzino, l'Italia che lavora è il ritratto funereo di un paese sfasciato dall'arroganza e dal benessere individuale. Giorgio Albertazzi, inquietante cinico barone universitario, dimostra con profondo disagio che si è accorciato di molto il tragitto che collega l'esperienza teatrale al dilettantismo cinematografico. Il regista Giambattista Avellino si sbraccia, ma il risultato non cambia ed è figlio, comunque, del decadimento strutturale che il cinema leggero sta attraversando. "C'è chi dice no" va pertanto ad aggiungeresi alla trafficata scia di quelle pellicole insulse destinate ad essere inevitabilmente rimosse e dimenticate.
Cinema Impero, Trani - 11 Aprile 2011
|