Reduce da una fortunatissima tournèe in giro per il mondo, acclamato nei festival specializzati, "Mamba" arriva sui nostri schermi inspiegabilmente nel rischioso periodo primaverile. Dietro la macchina da presa c'è Mario Orfini, professione produttore, che realizzò la sua opera prima dieci anni fa ("Noccioline a colazione"), per poi preoccuparsi di trasferire popolari talenti televisivi e letterari al cinema (Arbore, De Crescenzo, Pazzaglia). Sin dall'inizio si capisce che "Mamba" ha un taglio internazionale: girato fra Los Angeles e l'Arizona con una troupe di primi della classe (fotografia di Dante Spinotti, scenografia di Ferdinando Scarfiotti e musiche di Giorgio Moroder), è un tentativo coraggioso di rendere esportabile il cinema italiano. La vicenda poi, curiosamente, economizza sui personaggi. Solo tre attori per una torbida e angosciante storia di rancori e gelosie in bilico su un rasoio affilato. Gene (Gregg Henry), un programmatore di videogames, compra per 5000 dollari un rettile pericolosissimo dalla testa rettangolare e dal morso che non lascia scampo e mette in atto un macabro progetto. Dopo essersi sbarazzato del venditore di animali, testimone involontario della sua schizofrenia, si reca dalla sua ex donna Eva (Trudie Styler o, se volete, lady Sting) che puntualmente lo respinge, nonostante le prime intenzioni del partner siano stranamente pacifiche. Il rifiuto categorico genera una trappola mortale: Gene la rinchiude in un loft, bizarro appartamento privo di finestre e uscite secondarie. E libera il mamba. La povera Eva diventa, senza saperlo, la preda del serpente. Fuori dall'edificio il perverso amante vendicativo comanda il suo predatore attraverso un rivelatore di posizione, mentre incombe un countdown che è ingiusto approfondire per non svelare troppo... Finale a sorpresa, non del tutto prevedibile...
Giostrato per un'ora e venti calcolate in tempo reale, il film di Mario Orfini si lascia apprezzare per una ineccepibile cura di confezione: l'efficienza tecnica c'è ed è posta al servizio di un'impostazione teatrale. Un assurdo gioco mortale che si svolge all'interno di un ambiente unico, claustrofobico. La sceneggiatura, scritta in collaborazione con Lidia Ravera, esegue ciecamente i dettami del thriller. Geniale il controcampo visto dagli occhi del viscido rettile. Scelta stilistica che Orfini attua con numerose e striscianti inquadrature rasoterra con un'ottica deformata e l'incombente partitura del maestro Moroder che enfatizza le fasi più calde. Il film, nonostante tutto, si rivolge ad una platea giovanile e trova buoni interpreti nella strana coppia Styler-Henry. Lodevole iniziativa che potrebbe essere definita proveniente da una scuola di cinema a parte, giacchè pone il coraggioso tentativo di Orfini sul ponte che unisce sperimentazione e intrattenimento. Il che, nelle nobili intenzioni del suo autore, dovrebbe mettere sullo stesso gradino l'equa soddisfazione di critica e pubblico.
Cinema Impero, Trani - 10 Maggio 1989 |