La kryptonite, saranno in pochi a ricordarlo, è quel micidiale minerale incandescente che vanificava i superpoteri di Superman. Antidoto funesto che nelle mani dei cattivi era l'unica forma di resistenza opponibile ad un bene che faticava a trionfare. Se in questa curiosa ed originale storia finisce nella borsa della bella e depressa zia Rosaria è per semplici ragioni di fantasia. Tutti abbiamo avuto un cugino pazzo o emarginato per far pagar dazio alla stravaganza. Vale lo stesso per il piccolo Peppino, nove anni, e occhioni accesi dalla monumentale montatura degli occhiali che deve assecondare suo cugino Gennaro che svolazza come una saetta nei vicoli della Napoli irriconoscibile e solare del 1973 facendo il Napoletan Superman. Ma la kryptonite è nell'aria e il gioco finisce in tragedia. Gennarino spicca un volo troppo alto, che non può fare, e si schianta al suolo. La famiglia Sansone, diciamolo pure, non è proprio un buon esempio di normalità. La vita del piccolo Peppino non è affatto segnata dalla noia, circondato com'è da parenti allegri e picchiatelli. Gli zii, ad esempio: uno che ha sempre la soluzione giusta a tutto ("tene 'na capa tanta", dice il nonno) e gli altri due che sposano la causa hippie fra convention ben assortite e canne alla bisogna condivise fra femministe, figli dei fiori e nudisti. La mazzata arriva quando la bella e dolce mamma Rosaria (una bravissima Valeria Golino) scopre che il papà (Luca Zingaretti) la tradisce. Ed è qui che la pellicola prende una piega imprevista: la vergogna sovrasta il senso di rabbia, la tristezza assorbe il rancore. Mammà finisce sul lettino dello psichiatra (Fabrizio Gifuni), tanto pesanti sono i dubbi attorno al pesante fardello delle sue rinunce. Sballottato fra mille situazioni, per non essere travolto dalla depressione della madre, Peppino compirà la sua giusta maturazione cercando di sistemare le cose di casa. Beati gli occhi innocenti che sanno guardare meglio.
Il film più interessante della delegazione italiana in concorso a Roma viene, udite udite, da uno sceneggiatore che ha appeso la penna al chiodo al servizio delle fiction in prima serata ("Tutti pazzi per amore", una delle tante) che piacciono tanto a mamma Rai. Eppure Ivan Cotroneo, napoletano classe 1968, ha pedalato con i suoi mezzi nella impervia pista ciclabile del cinema d'autore. Sarà forse per questo motivo che "La kryptonite nella borsa" assume le vivaci tinte di un caleidoscopico urlo liberatorio. Il cinema italiano cerca di staccarsi dai canoni tradizionali. Ed in effetti grazie ad una struttura che assomiglia tanto alle strisce di Schulz, il piccolo Peppino diventa un Charlie Brown partenopeo che può alzare gli occhi e confrontarsi con il mondo degli adulti. Dove felicità e depressione si alternano nella ruota della fortuna dell'esistenza. Cotroneo assolda un cast ispiratissimo (tutti molto bravi, anche gli zii Capotondi e De Rienzo defilati sulla fascia laterale) per trasmettere un percorso emozionale che si colloca in un periodo storico osservato con malinconia e rimpianto. Dal punto di vista tecnico è ben servito dall'ineccepibile lavoro di fotografia di Luca Bigazzi che riesce a catapultare lo spettatore nel cuore dei '70. Ed è inevitabilmente "comenciniano" nella felice scoperta di Luigi Catani, un bimbo che parla con gli occhi (vispo, quindi, ma con delle pause), come il piccolo protagonista di "Voltati Eugenio" sballottato nella crisi di identità di un mondo adulto. Senza superpoteri e per giunta con la kryptonite sempre in tasca.
UCI Cinemas, Molfetta - 6 Novembre 2011 (Barisera) |