"Il cinema è un'invenzione che non ha futuro", sostenevano i Lumière. E invece eccoci tutti qui, chiamati a raccolta, per un altro viaggio importante. Spalancato il portone della fantasia, ci si lascia trastullare piacevolmente dagli spifferi di cinema. La chiave che entra nella serratura a forma di cuore è quella di Martin Scorsese, tornato finalmente a maneggiare gli strumenti necessari per ottenere un capolavoro. "Hugo Cabret" è un gioiello imperdibile destinato ad un'ampia fascia di pubblico, nessuno escluso, capace di avvolgere col calore della poesia e della semplicità. Una favola antica, congegnata con meccanismi e tempi perfetti, ma anche una dichiarazione d'amore appassionata nei confronti della settima arte, come magico strumento per materializzare i sogni. Siamo nella stazione ferroviaria di Parigi negli anni '30. Hugo, orfanello, vive arraggiandosi con il vecchio zio, nascondendosi nella monumentale torre orologio della stazione. Dal numero 4 osserva con i suoi piccoli occhi azzurri le abitudini dei passeggeri, dei negozianti e il viavai dei treni. Attratto da uno strano giocattolaio (Ben Kingsley) un pò burbero, Hugo è a caccia dei pezzi meccanici per ridare vita al suo "automa": un robot di metallo che suo padre non era riuscito a completare. Il funzionamento della strana macchina cela un messaggio importante dal passato. Quando Hugo riuscirà a farlo partire l'omino di metallo si rivelerà essere la fonte ispiratrice di George Meliès, prodigioso cineasta e illusionista dell'immagine, geniale prosecutore dell'invenzione dei Lumière, caduto in disgrazia con l'avvento della Grande Guerra, dato per scomparso ma di fatto ancora vivo. La sua arte rivivrà grazie al recupero dell'unica pellicola salvatasi dalla distruzione. Testimonianza ideale per riallacciare il discorso interrotto bruscamente col cinema. La macchina riprenderà a muoversi, quel magico mondo di illusioni a rivivere.
Candidato agli Oscar con 11 Nomination, "Hugo Cabret" ne ipoteca una buona parte: dalle meravigliose scenografie di Dante Ferretti ai costumi di Francesca Lo Schiavo, alla raffinata ricerca musicale di Howard Shore, per non parlare dell'eleganza fotografica di Robert Richardson. Ma non ci si arrende solo difronte all'imponenza dei mezzi tecnici e alla lussuosa confezione di un giocattolo da 170 milioni di dollari. Strutturato con tempi da favola come un racconto giovanile, il film riproduce fedelmente il libro illustrato di Brian Selznick, solleticando le corde dell'immaginario con l'innocente e diskensiana avventura di un bambino che insegue i sogni e li trova in un proiettore che bacia le immagini sullo schermo. E' uno Scorsese più rilassato rispetto ai film precedenti, che si ritrova ad indossare per la prima volta le ali della fantasia, accarezza la vecchia Europa, gioca con classici, recuperando le radici del cinema attraverso Meliès ("Le voyage dans la lune" del 1902), i Lumiere, il muto di Harold Lloyd. In una magica fusione il sogno e le realtà si danno spesso il cambio. Sullo sfondo: una Parigi fiabesca coperta dalla neve e dalle mille luci e la poetica storia d'amicizia fra un ragazzo e una ragazza: Hugo che ha la grazia di Asa Butterfield e la dolce Isabelle, sotto il baschetto vispo di Chloe Moretz, piccola attrice prodigio. Un elegantissimo esercizio di stile che non mancherà di stupire, riservato agli spettatori in grado di percepire la grazia delle immagini e di tastare con gli occhi l'antico legame col Cinema. Magnificenza che, forse, non si vedeva nel suo cinema dai tempi di "The aviator". Quattro stelle, meritate una per una.
Cinemars, Andria - 4 Febbraio 2012 (Barisera) |