Un misterioso avvocato (Giancarlo Giannini) chiuso nel suo cappotto scuro, radiato dall'albo per una scaramuccia col giudice alla sua seconda causa, arriva in corriera all'alba e porta la sua compagna (Raffaella Baracchi) ad abortire in un'ospedale al mare in una fredda e ventosa giornata d'inverno. Ma è li per altri affari. Lo scopriamo presto quando il suo boss gli ordina di mettersi al servizio di Molecola (Francois Negret), un ragazzino enigmatico e violento che vuole trasformare l'ormai deserta cittadina rivierasca in una nuova Las Vegas. Un sogno tenuto in vita da una banda di picchiatori, puttane e donnine discinte che alimentano l'allegra combriccola. Il ragazzino insomma ha la stoffa per convincere l'avvocato a stare al gioco e a prendere parte alla grande festa che si sta organizzando in nome di Faffo, formidabile maratoneta della banda, che ha vinto il titolo in Portogallo. Ma Faffo per strane ragioni tarda ad arrivare e la situazione precipita. Ci sono poi dei poveracci che difendono con i denti la proprietà dell'unico snack bar/albergo della città e non vogliono sloggiare. Resistono alle minacce di Molecola asserragliandosi all'interno della struttura, costringendo l'avvocato, che nel frattempo è stato raggiunto dal suo braccio destro Sapo (Philippe Leotard), a schierarsi. L'epilogo si consumerà all'alba del giorno seguente. Saranno in pochi a sorridere, saranno in molto ad abbandonare quella città maledetta dove i sogni materializzano incubi.
Dopo il successo della trilogia erotica ("La chiave", "Miranda", "Capriccio"), consumatasi fra le baruffe di critica e il gaudio degli spettatori che hanno avuto modo di riconoscere l'esclusiva di un indiscusso maestro del settore, Brass ha tentato di operare timidamente un cambio di rotta, tornando sui passi del noir di "Col cuore in gola". L'erotismo diventa una cornice accessoria in una brutta storia di violenza e prepotenza. Un noir classico, d'ambientazione. "Snack Bar Budapest" svela un significante fatto di luci fredde al neon (straordinario il lavoro del direttore della fotografia Alessio Gelsini), musiche suggestive (colonna sonora di Zucchero Fornaciari), ambienti sinistri e claustrofobici. Tutto girato in una lunga giornata che inizia e finisce con poco rassicuranti premesse mortifere, la trasposizione viene da un interessante romanzo a quattro mani scritto da Marco Lodoli e Silvia Bre (Bompiani), riprodotto fedelmente nei dialoghi (vivacizzati dal tocco di Roberto Lerici) e nello sviluppo, con la voce fuori campo di Giannini che rievoca le atmosfere dei noir anni '40. Certo il Brass-touch interviene nella cornice, qui davvero estemporanea, corredata da donnine svestite e danzanti che assecondano la follia di un piccolo gangster. Lo stile rimanda al fumetto, al videoclip, alla pubblicità (e questo si era detto). Magistrale la generosità di un Giancarlo Giannini senza baffi che, pur a disagio nell'estraneità di un gioco che mescola la favola nera e la tragedia, si mette al servizio della storia. E ci sono due bravissimi attori francesi: Philippe Leotard e Francois Negret, a tenergli testa. Divertente autocitazionismo: al Cine Tabù dove si proietta "La chiave", gli scagnozzi del gangster fanno a brandelli lo schermo, le macchine hanno una targa col monogramma del regista e Brass stesso si ritaglia il cameo di un giudice sfottente e strafottente. Nell'insieme un buon thriller a tinte forti che mescola atmosfere alla Chandler con l'hard boiled di Leonard. E il finale a sorpresa per come è strutturato è uno dei più interessanti ed innovativi del suo cinema classico, veicolato da emozioni provenienti da ben altra natura.
Supercinema, Trani - Ottobre 1988 |