Torna al cinema dopo la bellezza di 40 anni da "La cosa buffa" di Aldo Lado preceduto da una sfilza di musicarelli e qualche film d'autore, l'eterno ragazzo Gianni Morandi, stavolta al servizio di un giovane regista, già attore per Paolo Virzì, alla sua seconda prova dopo l'esordio nel 2003 con "B.B. e il cormorano". Distanze siderali, sembrerebbe di capire. O forse legittimi momenti di pausa creativa per tornare esprimersi quando si ha veramente qualcosa da dire. Unico film italiano presente quest'anno al festival di Locarno, "Padroni di casa" apre delle voragini fra la presunta appetibilità di un prodotto destinato al pubblico di grande fascia e la discrezione, a braccetto con la qualità, di un regista capace di godersi la rincorsa della maturazione, per tagliare il traguardo con qualcosa di diverso. Sulla carta il film parte con i presupposti della commedia, per poi virare improvvisamente verso il noir. Cosimo (Valerio Mastandrea) ed Elia (Elio Germano) sono due operai edili che il famoso cantautore Fausto Mieli (Gianni Morandi) ha scovato su internet per realizzare alcuni lavori di restauro sulla terrazza del suo chalet, immerso nel cuore di un parco nazionale dell'appennino Tosco-Emiliano. Giungono con il loro furgone da Roma per soddisfare le esigenze del loro committente che ha smesso di godersi fama e successo da quando una grave malattia ha colpito la sua compagna Moira (Valeria Bruni Tedeschi), costringendola alla disabilità. Dieci anni di lontananza dal pubblico sembrano però destinati a finire con una rentrèe clamorosa: Fausto tornerà sul palco del suo paese natale per un grande concerto che può rappresentare l'inizio di una seconda carriera. Nonostante il bellissimo rapporto di fiducia instaurato con il solitario e malinconico cantante, i due operai cominciano ad avvertire attorno parecchia ostilità e diffidenza da parte della comunità dei montanari del posto. Abitudini diversi e modi di pensare o agire, malintesi e episodi negativi fortuiti finiranno con il complicare la convivenza fino a scatenare conseguenze irreparabili.
Una sceneggiatura condizionata da qualche ingenuità e da sbavature perdonabili non oscura la preziosa intesa fra Elio Germano e Valerio Mastandrea, attori bravi e misurati nel ritrarre due fratelli, compagni di lavoro, condizionati da caratteri opposti. Il film scioglie i pochi toni leggeri al sole della tragedia che incombe, dietro l'apparente tranquillità boschiva. E sullo sfondo Gianni Morandi riesce a ritagliarsi con ingegno e un pizzico di autoironia il ruolo di predestinato alle ciniche e spietate regole dello showbusiness, al quale non rimane che una fuga disperata dalla sua triste vita reale, in un epilogo cinico e scioccante. Il film va oltre, fra pause e imprevisti che hanno la consistenza di pugni nello stomaco. Sulla sfiducia che mortifica i principi elementari di buona convivenza il film poggia il suo alibi e, a metà strada fra "Il vento fa il suo giro", film d'esordio di Giorgio Diritti e il raggelante "La ceremonie" di Chabrol, ravviva la sua storia osando sviluppi inattesi ed insoliti. Tutto questo insomma crea intorno ad Edoardo Gabbriellini un clima di simpatia e di riconoscenza per questo atto di coraggio e per gli evidenti margini di miglioramento nella confidenza con la macchina da presa che consentiranno allo spettatore già dalla prossima opera, magari non così meditata e distante, di confrontarsi con convinzione con un autore illuminato dalla compiutezza.
Cinema Piccolo, Santo Spirito - 4 Ottobre, 2012 (Barisera) |