In una Torino accarezzata da un'alba dolcissima nella centralissima piazza la statua bronzea del comandante Giuseppe Garibaldi, che da anni osserva imperturbabile e disilluso la trasformazione del paese, comincia a riflettere sui danni fatti dall'unità d'Italia, con la voce di Pierfrancesco Favino. "Sale il timore che questo popolo non fosse atto a governarsi da sè. Mi brucia in petto un rimpianto: se non fosse stato meglio tenersi gli austriaci", pensa ad alta voce, bisticciando con la statua di marmo del cavalier Cazzaniga mentre Leopardi e Verdi sonnecchiano. Nel sottobosco tutto italiano, nel frattempo, i buoni e cattivi si arrabattano come possono cercando di mantenere una parvenza di equilibrio sul declino. Anna Rohrwacher è un'artista fragile e squattrinata, sempre in ritardo col pagamento dell'affitto, che avanza dei soldi per un lavoro mai retribuito e fa la spola per cercare di recuperare il suo credito; Giuseppe Battiston è un padrone di casa corpulento e saggio che ruba nei supermercati e passa le ore a studiare le lingue straniere, a cibarsi di citazioni e aforismi, esprimendosi in un linguaggio forbito che lo porta, spesso, ad avere "divergenze di vedute" per strada. E c'è Valerio Mastandrea, con insolito accento napoletano e baffetti alla Eduardo, idraulico che tira a campare i suoi due turbolenti figli adolescenti, consigliandosi col fantasma della moglie Claudia Gerini che passeggia per casa in bikini. Luca Zingaretti, avvocato traffichino milanista, con zazzera bruna alla Rod Stewart, si dice appassionato di arte, ma è in realtà un affarista volgaruccio al quale interessano solo i "danè". Il piccolo Luca Dirodi, figlio tredicenne di Mastandrea, ha una passione per i volatili e si sta preoccupando della salute e dell'orientamento di una fedele cicogna con la quale si da spesso appuntamento. Le circostanze, come nei film corali di antica impostazione, porteranno i destini di questi personaggi ad incrociarsi. Sullo sfondo sempre la stessa identica Italia del compromesso, della pacca sulla spalla, dei sorrisi e dei calci in bocca.
Commedia garbata ma allo stesso tempo imbevuta di tutte le limitazioni derivanti dalla carineria, "Il comandante e la cicogna" è un instant movie dai risvolti morali con cui Silvio Soldini, tipico testimone di una commedia sofisticata, cerca di rappresentare contraddizioni, vizi ma anche speranze di un paese afflitto da valori in burrasca. Quello che nuoce al film, semmai, è un atteggiamento troppo surreale e di maniera sui ritratti che racconta, senza andare a fondo, arrestandosi sulla soglia. Non è una mancanza di coraggio, ma una tendenza di un certo cinema italiano che preferisce sfiorare e non penetrare nelle questioni per non azzardare sentenze. Apprezzabile la trovata di far parlare gli attori e le attrici con dialetti di diversa provenienza. Le prestazioni di Mastandrea, Battiston (davvero esilarante) e Zingaretti, pertanto, oltre ad essere godibili sono anche convincenti. Il film offre insomma sapori dolceamari: condanna certo malcostume, fotografandolo comunque nella cornice dei luoghi comuni. Il tentativo di Soldini di riadattare la formula della commedia, epurandola da grossolanità e finzione, coglie comunque nel segno. Ma il film resta una piccola cosa, davvero leggero e sfuggente come il volo simbolico di quella cicogna che, esprimendo un disagio istintivo, lascia l'Italia per rintanarsi in frontiera.
Uci Cinemas, Molfetta - 19 Ottobre 2012 |