“Ma secondo te perchè Dino Risi non mi ha mai chiamato?” In questa domanda che il protagonista rivolge timidamente ai suoi colleghi più volte nel corso della storia traspare la frustrazione professionale e il conseguente malessere che accomuna molti artisti inappagati, costretti a immaginare le occasioni sfumate. Gli stessi protagonisti che i fasti degli anni di gloria dei film di cassetta hanno in gioventù incoronato re degli incassi per poi ritrovarsi in età matura gettati in pasto nella fossa comune dei compromessi alla mercè di fiction, reality e televendite.
Chissà se nella lista dei filmacci di serie B (alcuni storpiati, altri purtroppo autentici) elencati a mò di curriculum sui titoli di coda di questa biografia immaginaria Avati abbia voluto riferirsi a qualche attore del suo cinema. Di certo il racconto di questa deriva professionale riflette le debolezze di molti volti noti che sono rimasti intrappolati nei loro personaggi e hanno incontrato difficoltà enormi per uscirne. E nel contesto guarda caso c’è una creatura che ad Avati deve molto. Perché fu proprio grazie all’opportunità del bellissimo “Regalo di natale” che vent’anni fa Abatantuono ebbe la fortuna straordinaria di rinascere artisticamente, tirando fuori le sue potenzialità (represse) di grande attore drammatico. Si possono riscontrare molte affinità fra la storia immaginaria e quella vera, se vogliamo. I conti tornano, il cerchio si stringe. Questa biografia forse è davvero più attendibile del solito.
Ma questa volta l’autore pesca anche nel torbido dei conflitti privati, mai come oggi sbattuti inopportunamente in faccia al pubblico. E a dispetto del sottotitolo che la definisce una commedia sentimentale, “La cena” è piuttosto un intenso dramma di famiglia in interno dove si narra della riscoperta morale di un capofamiglia vivace ed irresponsabile che ha procreato in tre aree dell’Europa, senza riuscire a raccogliere un‘identità familiare precisa o una paternità degna di essere chiamata tale.
Sandro Lanza (D.Abatantuono) è un attore cinquantenne che ha fatto carriera nel mondo del cinema italiano degli anni d’oro quando si giravano 300 film all’anno. Si è fatto le ossa nella cadetteria delle commedie di serie b ma ormai è in preda ad un bilancio nostalgico. Ha pochissime opportunità professionali, fra queste una soap che si dilunga ormai da otto anni su un canale televisivo logorando assurdamente il suo personaggio. Per adesso è tutto quello che il suo agente può offrirgli, a meno che non voglia prendere in considerazione il capolinea di uno squallido reality show o combinare qualche finto scoop con le riviste scandalistiche. Recatosi in gran segreto in una clinica parigina per sottoporsi ad un intervento estetico malriuscito che lo possa ringiovanire agli occhi della sua giovane compagna occasionale, Lanza sprofonda in una depressione senza via di uscita e tenta di togliersi la vita. Il tragico evento riunisce al suo capezzale le tre figlie avute in tre luoghi diversi, da donne diverse: la taciturna Ines (I.Sastre) che lavora a Parigi in una redazione di un importante rivista e nasconde un tragico segreto, la rassegnata Betty (V.Placido) che si è accasata con un insignificante e materialista imprenditore romano e Clara (V.Incontrada) che vive a Madrid e fa la pediatra. Il loro genitore ha bisogno del loro affetto, vuole ritrovare quel legame affettivo che non ha mai avuto. E l’occasione è abbastanza tragica per motivarne l’emergenza. Quando Sandro si riprende dalla crisi nasce da parte delle figlie l’idea di una cena-pretesto per presentargli una nuova fiamma, una stralunata intellettuale (F.Neri), e di conseguenza l’opportunità per levarselo temporaneamente dalle scatole. Ma gli eventi prenderanno una piega diversa: alla fine la cena servirà a Sandro per fargli riscoprire una felicità familiare che non aveva mai avuto modo di esplorare mettendolo finalmente di fronte alle sue responsabilità di genitore.
Commedia amarissima e densa di significati, “La cena” racchiude tutti gli elementi del cinema nostalgico avatiano e li scaraventa nell’arena da brividi dell’attuale crisi di valori. Le sferzate del regista a certo malcostume artistico imperante si notano tutte e sono abbastanza pesanti. Però tutto si risolve nella correlazione mai così evidente fra l’arte del cinema e la natura effimera della televisione: dalla volgarità di quest’ultima che non dà respiro e non ammette qualità professionali (straordinariamente autentica la sequenza della falsa trasmissione in diretta) all’invadenza e al cattivo gusto di macchine fotografiche e telecamere che frugano la vita per svenderla in piazza.
Avati omaggia un cinema che non c’è più e non si può più fare, cita l’umanità di artigiani della macchina da presa come Sergio Corbucci o l’intelligenza intellettuale di Pietro Germi, celebra le foto di scena in bianco e nero (e l’album fotografico di Abatantuono è abbastanza fornito) e si sofferma sul cinismo delle nuove generazioni che sgomitano senza ritegno per trovare una fugace celebrità. Inoltre rievoca un incidente accaduto seriamente ad un attore italiano che subì uno sciagurato intervento estetico che compromise brevemente la sua visibilità in pubblico.
Al di là di questo, il film è anche un tragico e veritiero resoconto sulla crisi professionale che ha investito molti protagonisti del cinema del passato, precludendogli un futuro rinnovamento. Fortunatamente il regista emiliano come spesso accade si è servito di un cast impeccabile (fra cui spicca la prova della Sastre e il monologo di Francesca Neri), sovrastato dalla prova da nastro d’argento di un indimenticabile Diego Abatantuono. Speriamo che questa cena serva a far conoscere al mondo che questo validissimo e autentico attore merita riconoscimenti e percorsi internazionali che fino ad oggi gli sono state incredibilmente preclusi.
Cinema Opera, Barletta - Febbraio 2007 (Barisera) |