Regista insolito e controverso, capace di filmare e proporre un cinema coraggioso e fuori dai canoni attuali, il quarantenne Paolo Franchi, scuola Olmi, fra discussioni animate e infuocati schieramenti è riuscito comunque sempre a trovare un posto nelle confortevoli (ma non proprio utili) vetrine del concorso. Anche questo suo terzo film, dato in pasto su un tridente piuttosto spuntato all'ultima mostra cinematografica di Roma, non ha fatto eccezione generando una travolgente ondata di polemiche che, quasi sicuramente, non sortiranno l'effetto voluto. E cioè movimentare i ritmi sonnecchianti del noleggio. "E la chiamano estate" parte col piede sbagliato, nonostante un'eleganza formale percepibile sin dalle prime battute. Il celebre e dolcissimo pezzo di Bruno Martino commenta una notte in spiaggia al chiaro di luna. C'è un uomo che soffre, che immagina e vive (male) un'esistenza parallela alla Mr.Hyde. Di giorno è un'anestesista che si prodiga nello spazio bianco ed ovattato della sala operatoria, di notte è un sessuomane che sperpera lo stipendio fra prostitute sfigurate in roulotte e ambigue frequentazioni nei locali di scambisti. Malsfamato negli appetiti sessuali, riversa nei rapporti mercenari tutto il disagio e il malessere che prova in un amore sfrenato ma non consumato con la sua legittima compagna, Anna (Isabella Ferrari), che egli contempla soltanto. Già, ma perchè? Segnato da traumi dell'infanzia e dalla morte improvvisa del suo affetto più caro, l'anestesista disorientato (Jean-Marc Barr) passa le sue giornate facendo visita agli ex di Anna chiedendo spiegazioni imbarazzanti. Eh si, perchè vorrebbe addirittura rendersi artefice di un ritorno di fiamma, per riportare la sua immacolata compagna nel letto dei partner precedenti. Il livore aumenta, il protagonista continua a soffrire e a farsi del male. Come il cattivo tenente si annulla per amore, procede la sua discesa negli inferi e non riesce proprio a darsi pace. Finale da interpretare, se proprio vi va.
E' un cinema strategicamente in regola pronto a colpire bersagli lontani, perchè muove passetti assordanti nell'incredibile silenzio e vuoto di argomenti cui ci sta abituando l'attuale cinema italiano, ormai in caduta libera verso la commedia. Il problema, come qualcuno ha fatto notare, è che mancano i produttori coraggiosi che investono nel cinema dell'incomunicabilità e dei temi forti. Si contano pochi esordi, ai festival ci finiscono sempre gli stessi. "E la chiamano estate" non risolve alcun problema di natura industriale, semmai si limita, e lo diciamo con tutto il dovuto timore reverenziale nei confronti del regista che stiamo citando, a riproporre lancinanti urla di disperazione di Marco Ferreri. Il buon Paolo Franchi deve aver assimilato bene un certo tipo di cinema che si diverte a filtrare. Ma la pretenziosità dei toni e i limiti di un progetto velleitario, rendono questo film inferiore al precedente. Ed è ovvio che, in un desolante panorama dove si fa volentieri a meno dei problemi reali, spicca più il pube di Isabella Ferrari (generosissima, comunque, ed alquanto credibile) o qualche fellatio colta al volto che fa tanto cinema d'autore, perchè tanto "Oshima è stato il primo a farlo". Pervasi da un senso di noia, più che dall'interesse per la complessità dei temi sintetizzati in un minutaggio limitato, non si va oltre la raccolta delle buone intenzioni. E Jean-Marc Barr, come il ferreriano Gerard Depardieu, meriterebbe occasioni più convicenti, magari facendo a meno di un doppiaggio da fiction.
Cinema Opera, Barletta - 24 Novembre 2012 (Barisera) |