Jack Lemmon lo ha definito uno dei film più riusciti della sua carriera, una delle sue prove migliori. E non gli si può dar torto, quando c'è di mezzo una Coppa Volpi, ritirata qualche settimana fa a Venezia. "Americani" è un film amarissimo, freddo e distaccato come la penna di David Mamet: vicenda che sconfessa gli errati idealismi di un benessere che in teoria non esiste più, aggredito dalla condizione raccapricciante dell'essere uomini. E' uno splendido spaccato di una cruda e meccanica realtà sociale: la recessione economica, le prospettive azzerate dalla mancanza di fiducia, l'inquieta solitudine vissuta dagli ultimi mercanti di futuro, pedine zoppicanti di un gioco di ruolo senza vincitori. Una prova esemplare di sette bravissimi attori (eccellente tra l'altro il contributo del "secondario" Jonathan Pryce) alle prese con un destino spietato che finirà con il trascinarli in un'incerta e pericolosa sfida generale. Il dramma si svolge in una Chicago fredda e uggiosa come non la si vedeva da tempo, una metropoli attanagliata dalla frenesia del lavoro. Il peso delle giornate ha avolto anche gli animi contaminati di alcuni agenti immobiliari di una piccola azienda che non va a gonfie vele, con gli squali padroni che vorrebbero fare tagli al personale. Blake (Alec Baldwin), arrogante agente inviato dai direttori d'azienda entra in ufficio ed aggredisce senza ritegno i poveri ed inconsapevoli venditori su cui gravano i mali della baracca. Non c'è più tempo per loro: sono troppi e poco efficaci e la legge del mercato non perdona. L'azienda ha però indetto ugualmente una gara: l'agente che realizzerà il maggior numero di vendite salverà il suo posto e otterrà una Cadillac Eldorado. Incombe ben presto sui poveri piazzisti un senso di timore ed incertezza: Shelley Levine (Jack Lemmon), preoccupato a causa dei problemi di salute di sua figlia, ha riversato le sue debolezze nel fallimentare apporto all'azienda. Ricky Roma (Al Pacino), il più fortunato di tutti, è riuscito ad ottenere e chiudere i contratti migliori e sembra destinato a vincere la gara. George (Alan Arkin) e John (Kevin Spacey) si coalizzano. Ma comincia a circolare fra i vari agenti una rivalità senza precedenti: sospetti, sotterfugi e atti disumani cominciano ad inasprire i loro rapporti. Qualcuno pensa anche di rubare e rivendere i preziosi contratti dell'azienda. Altri approfittano della disperazione di qualche collega per soffiargli un'alta percentuale...
Il newyorchese James Foley ha definito la sua pellicola come una sorta di gioco al massacro intrapreso da alcuni uomini piegati dalla loro stessa natura: in definitiva la crisi che li pone contro è secondaria davanti all'anaffettività dei loro animi, contaminati dal mercato. Il film è giocato essenzialmente sui dialoghi: gli agenti in lotta straparlano, si feriscono con le parole, conoscono solo insulti e umiliazioni, annaspano nella stessa melma pur reagendo diversamente. Ripetono all'infinito le stesse frasi, inveiscono contro se stessi: vivendo il personale disagio di agenti falliti riassumono il generale disorientamento degli schiavi dell'economia. Il ritratto patetico creato da Lemmon è esemplare: mescola la debolezza delle vittime con l'arte, questa volta meschina, di chi è costretto al compromesso per continuare a sopravvivere. Lemmon trova tuttavia un antagonista d'eccezione: un cinico ed egoista Al Pacino, nei panni strafottenti del primo della lista dei venditori. E' il cattivo esempio del nuovo che avanza senza alcun valore, pronto a disseminare trappole. Esemplare per la solidità della sua struttura, "Americani" è un film da non perdere. Girato esclusivamente negli interni angusti splendidamente fotografati da Juan Ruiz Anchia, è un film che appassiona per la sua struttura teatrale. Il grande Jack Lemmon, fra rabbia e disperazione, ruba con grande merito la scena. Ma in questo dramma corale, molto ben scritto e molto ben recitato, ognuno fa la sua parte in modo egregio.
Supercinema, Trani - 13 Ottobre 1992 |