Una proiezione faticosa ed estenuante per un film natalizio concepito dalla Fandango su misura per Antonio Albanese che si fa in tre, aggiungendo al personaggio trainante di "Qualunquemente", anche il padano secessionista Rodolfo e il pugliese Frengo, che alle origini televisive era un cronista sportivo, cantore di moduli zemaniani. "Tutto tutto niente niente" è un film destrutturato e deconcettualizato, che annaspa nella sontuosità scenografica e nel sorprendente ed un insolito utilizzo di costumi kitch. Felliniano, si potrebbe dire senza provare nell'immediato un rimorso per l'azzardato paragone, nella resa iconografica di un'Italia del futuro, carica di eccessi nel suo ritorno al potere imperiale. Uno sfondo inutile, che esaurisce in fretta il suo spreco dimensionale, per accompagnare il delirio di tre goffi avanzi della politica italiana, reclutati da un sottosegretario per raddrizzare a comando l'asse della maggioranza. Recuperati dalle patrie galere i tre individui ovviamente cominciano a far danni in pubblico: un poco simpatico leghista che sfrutta gli extracomunitari, un calabrese con la fissa del sesso mercenario ed un pugliese che con l'uso di droghe asseconda le espansive mire mistiche della madre. Li seguiamo a ruota nell'impresa non facile di calpestare quello che è rimasto del paese. Fra ironia potenziale e un pizzico di comicità surreale che sconfina nella demenza. Ovviamente è un disastro, un film che non funziona e che riesce nella vana impresa di non far ridere mai. E dispiace maturare un simile giudizio critico nei confronti di un attore preparato e di straordinaria simpatia come Antonio Albanese, ma questo è davvero uno dei punti più bassi toccati dal cinema leggero attuale. L'idea di triplicare i personaggi per dare dinamismo alla pellicola in realtà appesantisce l'insieme e quello di Cetto Laqualunque resta ancora una volta l'unico personaggio sostenibile. La cura maniacale nel trovare ambientazioni sontuose e scenografie eccentriche ed esagerate (per non parlare dei costumi) non basta comunque a colmare un desolante vuoto che si traduce in imbarazzo. Il problema principale, inutile negarlo, è che la comicità stranulata e surreale di Antonio Albanese ricicla clichè logori e dal grazioso "Uomo d'acqua dolce" sembra passato più di un secolo. Si ha l'impressione, insomma, che dalla ferma penna di Vincenzo Cerami al lapis spuntato di Piero Guerrera passi il torrente in piena di una degenerazione televisiva che ha contaminato tutti, pure Albanese che con i tempi cinematografici qualche volta se l'è cavata. In questo stillicidio visivo dove si esagera a dismisura con i margini di tolleranza, la noia domina sulla delusione. Se si pensa poi che la destinazione d'uso è natalizia, questa grave mancanza si traduce in pretesa. Un film con una triste atmosfera da veglione che si fa fatica ad accettare, che vede coinvolti nell'allegra mascherata per strane ragioni un annoiato Fabrizio Bentivoglio ed un silenzioso Paolo Villaggio. Desolatamente travolti dal niente niente di un cinepanettone indiretto, per giunta rancido.
Cinema Impero, Trani - 17 Dicembre 2012 |