Mario Monicelli ci racconta la tormentata esistenza di un compositore fino ad ora ignorato dalla cinematografia e soprattutto dagli sceneggiati televisivi preposti a rinfrescare la nostra memoria. Ricordate il "Puccini" di Sandro Bolchi con Alberto Lionello? Sembrano ormai lontani i tempi delle monografie a puntate. Per cui pecca di anacronismo ed inadeguatezza un film fortemente voluto da vertici e funzionari della tv di stato, ma con una diversa destinazione d'utilizzo. Anche Zeffirelli di recente, si sa, con Toscanini è uscito con le osse rotte, fra fischi e pernacchie. Rischia grosso anche questo "Rossini! Rossini!"? Forse no. E' un polpettone di costumi rifiniti che finisce con l'arenarsi accanto a molte altre opere di medio valore che non raggiungono i traguardi sperati. Un film su commissione, pare di capire, girato da Monicelli con molti sforzi (e si vede) che pure con "Il marchese del Grillo" si era avvicinato con convinzione alla commedia in costume. Ma la musica è un'altra cosa, assai distante dalle opere di finzione, soprattutto quando per delineare la personalità di un autore si deve per forza ricorrere all'aneddoto, all'intreccio passionale e alla ricercata decadenza fisica e psicologica dello stesso- E la vita di Gioacchino Rossini (1792-1868), che constatò di persona i benefici e i mali apportati dall'avventura napoleonica, non appare assai diversa da quella di molti altri talenti caduti nelle polveri da altari di epoche avide di protagonismo. Ormai anziano, acciaccato dall'incuria e dall'ipocondria, Gioacchino Rossini, ha preferito ritirarsi dalle scene europee per commemorare accanto ad alcuni amici parigini le tappe più salienti della sua esistenza (il metodo è quello classico e Monicelli si adegua). Rievoca così quei momenti bellissimi trascorsi a cantare accanto a sua madre (la bellissima Giusi Cataldo), il primo grande successo a Venezia con "La cambiale di matrimonio" che lo legò sentimentalmente alla primadonna Maria Marcolini. Richiestissimo da tutte le grandi città del regno, il compositore ebbe modo di accettare l'allettante proposta dell'impresario Domenico Barbaja (un formidabile Giorgio Gaber), che lo portò in trionfo a Napoli. Frattanto Rossini si innamorava di Isabella Colbran, brutta storia, tranello del destino della rivalità fra uomini forti. Poi l'arrivo a Roma, al Teatro Argentina per "Il barbiere di Siviglia", data in pasto ad un pubblico da trivio, pagato per contestare. Poi il matrimonio con Olimpia Pelissier, la discesa, la caduta.
Il film di Monicelli ha certamente innegabili meriti: la bravura di un generosissimo Sergio Castellitto, nella parte del compositore da giovane; la sornioneria di Philippe Noiret nei panni del compositore anziano; il fascino di Jacqueline Bisset, il ritorno al cinema di Giorgio Gaber che senza prepotenze ruba la scena. Ed infine la fotografia pregevole di Franco Di Giacomo attenta a sottolineare con verosimiglianza i colori di un'epoca. Difettano alcune impostazioni di matrice televisiva, in cui Monicelli inevitabilmente esprime insofferenza e disagio. Il destino è comunque in agguato: dopo la prova al cinema, sul piccolo schermo la vita del compositore verrà dilazionata a puntate.
Cinema Rialto, Roma - 9 Ottobre 1991 |