Nicolas Winding Refn al centro di infuocate discussioni di critica, dopo il vistoso e meritato consenso di "Drive", è un mistero che la visione di questo suo "Only God forgives" non fa che accentuare. L'esuberante regista danese che fa cinema da quasi vent'anni, ma che di fatto si è imposto alla critica internazionale con i suoi ultimi lavori, riapre insomma un dibattito superfluo fra estetica ed estetismo, fra virtuosismi dettati dal talento e uno spirito di autocompiacimento che troverebbe illustri precedenti nell'ultimo cinema visionario di David Lynch (in particolar modo "Fire walk with me"). Un dato però è certo: si esce dalla sala intontiti e riscaldati, accarezzati e brutalizzati dagli eccessi figurativi di una messa in scena minimale, fatta di misteriosi campi lunghi, dialoghi scarsi, uso e abuso di luci e cromatismi. Vero artefice dell'ottimo impatto visivo di questo piccolo bistrattato capolavoro è il mago Larry Smith, fedele operatore di Refn, capace di allestire un diabolico e incantevole gioco di luci, accentuato dalla profondità degli spazi, dalla dimensione onirica (il più delle volte da incubo) dell'ambientazione thailandese. Con frequenti rimandi alla tragedia classica con vistosi sbalzi temporali (da "Edipo Re" a "Macbeth"), Refn dipinge la discesa agli inferi di Julian (Ryan Gosling), taciturno ragazzo americano che col suo fratello maggiore a Bangkok allena aspirati combattenti di thai boxe in una palestra molto frequentata. L'attività sportiva è una copertura: entrambi trafficano in droga e si sono ben amalgamati alla pericolosa e violenta legge di sopraffazione thailandese. Quando suo fratello maggiore, in preda ad una crisi violenta uccide una prostituta minorenne, attirando su di se la reazione di un poliziotto corrotto (Vithaya Pansirngarm) che si vendica facendolo trucidare, Julian entra in una inevitabile spirale di vendetta che lo costringe a reagire. Dall'America infatti sopraggiunge sua madre (Kristin Scott Thomas) per riprendersi il corpo del primogenito e per vendicarsi prontamente di tutti i responsabili della sua uccisione. Julian si troverà, senza volerlo, nel posto sbagliato al momento sbagliato; diviso fra il suo istinto calmo e riflessivo e le sollecitazioni emotive della diabolica madre ape-regina intenzionata a ristabilire gli equilibri attraverso lo spargimento di sangue. Finale ad effetto che volge lo sguardo, irrimediabilmente, nelle tragedie del passato.
E' un film raffinato e allo stesso tempo complesso; un poliziesco dove si ritrovano temi cari a Refn come la legge della sopraffazione, l'istinto reattivo dietro la calma apparente di un protagonista che si ritrova, senza prevederlo, nel mondo dal quale era scappato. Ridotto all'essenziale, attraverso lunghi e bellissimi quadri dove la narrazione è sostituita dai movimenti di macchina e dall'uso figurativo di luci e scenografie tendenti al rosso e al giallo e dalle bellissime musiche progressive di Cliff Martinez. In tutto questo la discrezione di alcuni personaggi irrompe con prepotenza nell'azione: a partire, insomma, da Vithaya Pansringarm, poliziotto luciferino apparentemente inoffensivo, che risolve problemi con uno scatto di spada. Ryan Gosling, attore feticcio di Refn, appare più misurato del solito; cede insomma alle edipiche ed inquietanti prevaricazioni di una madre violenta e volgare, impersonata da una incredibiile Kristin Scott Thomas, di straordinaria generosità alle prese con gli eccessi di un trucco a volte impietoso, diviso fra sensualità e sgradevolezza.
Cinemars, Andria - 31 Maggio 2013 |