Siamo sempre più convinti che in veste di sceneggiatore Oliver Stone abbia già dato segni sostanziali di precocità. "Midnight express" (1978) e "Scarface" (1983) hanno insomma mostrato maggiore ispirazione rispetto al patinato "Wall street" di due anni fa. In questo caso il regista newyorchese ha voluto adattare con l'ausilio del protagonista Eric Bogosian un testo di Stephen Singular ("Talked to death: the life and the murder of Alan Berg"), basato sulla storia vera di un conduttore radiofonico ebreo, assassinato nel 1984 da un fanatico neonazista. "Talk radio" è un film ineccepibile sotto l'aspetto tecnico, un lavoro dove le inquadrature regolano le emozioni e dove la rinuncia agli esterni favorisce una dimensione claustrofobica che catapulta lo spettatore a rivivere in diretta le tensioni di uno studio radiofonico. Ciò che invece lascia perplessi è la marcata puntualità di uno stile asciutto e frammentato che non va a fondo su questo terribile fatto di cronaca. Come in tutti i lavori di Oliver Stone anche "Talk radio" sfrutta in larga percentuale l'incisività della dialettica: speaker loquaci, talk-show infuocati e socialmente utili, l'America delle voci. Barry Champlain (Eric Bogosian) è il conduttore del programma radiofonico "voci nella notte", uno spazio diviso fra la propaganda e l'abilità del suo protagonista nel giocare con le forzature del suo personaggio. Champlain come tanti è uno di quei lavoratori casuali che vivono senza porre limiti alla provvidenza; in radio si ritrova per un caso fortuito avvenuto nel suo precedente luogo di lavoro, una sartoria. Il programma è improntato su uno stile aggressivo ed imprevedibile: Barry si scontra con le voci anonime di gente disperata che si sfoga in uno scambio di opinioni rigido e realistico. Non si risparmia nulla: turpiloqui, telefonate anonime e preoccupanti minacce che mettono in giorno le origine semitiche di Champlain. Ma il successo è clamoroso e sta attirando l'attenzione dei network nazionali. Ci saranno delle pallottole ad attenderlo oltre i cancelli. Champlain si consegnerà, senza esitazioni, al destino che si era immaginato.
Film solido, realistico, eccessivo per il modo pessimista con cui inquadra un paese in conflitto con se stesso: una lunga lista di personaggi ambigui, perversi, cinici, spietati neonazisti che infieriscono su un personaggio, vittima di un incontrollabile gioco burocratico. La storia vera di un episodio di cronaca avvenuto nel 1984 viene di fatto rivissuta da Oliver Stone attraverso inquadrature complicate ed efficaci, al servizio di una sceneggiatura che non rinuncia alla sua impostazione teatrale. Il risultato è un film efficace, un'opera aggressiva, claustrofobica che svela tutta l'abilità del regista in una circostanza ben diversa dal precedente film di successo. Come tutte le opere che sacrificano lo spettacolo in virtù dei contenuti, "Talk radio" ha riscontrato uno scarso sostegno di pubblico, nonostante sia stato concepito come un film a basso budget. Cadute di tono: la presenza fumettistica di scontri e i grossolani insulti in diretta con il protagonista. A garantire equilibrio, tuttavia, le ottime musiche di Stewart Copeland (ex-Police) e le suggestive inquadrature iniziali e finali di una Dallas notturna. Un'opera minore nella filmografia di Oliver Stone, ma con la dignità delle rischiose operazioni partite dal cuore e non dagli uffici di una major.
Cinema Impero, 19 Maggio 1989 |