Dietro i candelabri e le mille luci sfavillanti di un eccessivo mondo imperial-kitsch, solo il buio pesto della solitudine. L'ultimo film dell'instancabile Steven Soderbergh racconta infatti la parabola ascendente e discendente di Wladziu Valentino Liberace (1919-1987), di padre italiano e madre polacca, il pianista più spettacolare d'America, che in un trentennio infuocato riempì i più prestigiosi music hall del mondo per regalare le sue virtuosistiche acrobazie musicali, caratterizzate da una predisposizione barocca per l'eccesso. Capace di entrare in scena a bordo di una limousine e di scendervi con un mantello lungo cinque metri da 300000 dollari, Liberace fu un geniale e imprevedibile acrobata della tastiera, tuttavia molto riservato e geloso di una vita privata minata dai tabloid e dagli sciacalli, pianificata dai suoi legali. Sempre chiuso nella sua gabbia dorata corredata di colonne doriche, gioielli inestimabili, pellicce e vasche idromassaggio, fece parlare molto di se pur non svelando il suo orientamento sessuale. Quando morì di Aids nel febbraio del 1987 i suoi avvocati fecero l'impossibile per evitare l'autopsia ed arginare il chiacchiericcio. Il film di Soderbergh nato come un progetto televisivo per la HBO ma finito inevitabilmente in concorso a Cannes è un biopic che si concentra sui suoi ultimi tormentati cinque anni d'amore con il giovane Scott Thorson, ragazzo di campagna, entrato nella sua vita come spettatore durante un concerto. Scott entra nelle grazie di Lee da subito. Per la sua innocenza, il suo fragile stupore, la sua ammirazione. L'amicizia, la complicità virile e la purezza del ragazzo sembrano condizionare favorevolmente la profonda solitudine del pianista, predisposto ad essere sfruttato per la sua generosità. In realtà quello di Scott è un amore vero che le circostanze muteranno nel tempo. Ma il benessere mentale di Lee, derivato dalla vicinanza del ragazzo, lo porterà a vivere uno dei periodi professionali più ispirati e felici della sua lunga carriera. Fino all'inevitabile separazione che si concluderà con le premesse di un triste e "malinconico" divorzio ma che non minerà mai fino in fondo il codice d'onore del vero amico. Scott Thorson sarà al suo capezzale per assisterlo negli ultimi giorni.
E' una storia d'amore struggente e delicata, non priva di momenti divertenti scritta, con polso fermo dall'ottimo sceneggiatore Richard LaGravenese. Steven Soderbergh con attenzione e sensibilità descrive un mondo fatuo di lustrini, pajettes e penne di struzzo, con il massimo rispetto. Certo il film mette a nudo impietosamente il ritratto di un'America finta e rabbuiata nel suo spasmodico culto estetico che traspare nella fotografia patinata dello stesso Soderbergh sotto pseudonimo (Peter Andrews) che ricorre spesso all'effetto flou. Ma resta vivo e travolgente il ritmo di questo film per la tv regalatoci per doveroso senso di responsabilità sul grande schermo. Duetti meravigliosi e, si nota, non facilissimi fra un Michael Douglas impressionante nei suoi frequenti sbalzi di make-up e uno strabiliante Matt Damon, fra i quali si inseriscono gli irriconoscibili Rob Lowe (il chirurgo estetico) e Dan Aykroyd (l'avvocato). Mai un cedimento involontario verso l'ilarità o la volgarità di fondo. Fra coreografie ispirate e scenografie da favola il film mantiene fede al suo compito. Quello di raccontare, cioè la profonda solitudine di una celebrità tormentata dal peso sociale del suo ruolo. E si può azzardare, senza nessuna ombra di dubbio, che grazie al generoso contributo di Douglas questo si riveli uno dei biopic più intensi e meno didascalici rispetto a quanto lasciassero immaginare le premesse di destinazione televisiva.
Uci Cinemas, Molfetta - 5 Dicembre 2013 |