Gomorra brasileira, dallo stile asciutto e diretto, che ha conquistato qualche mese fa il prestigioso Orso d'oro al festival di Berlino. Rio De Janeiro come Napoli, città soffocata dalla morsa del narcotraffico e dalla corruzione, dove lo stesso degrado del quartiere Scampia si riconosce in proporzioni esponenziali nelle irraggiungibili e pericolosissime favelas regolate dalla spietata legge della violenza. Un film che ha infastidito le autorità, tirandosi addosso l'odio degli autentici poliziotti che, ripercorrendo il muro di omertà spezzato dal cronista Saviano, si sono sentiti traditi dall'autenticità di un reportage vero e proprio realizzato dal giovane e bravo autore Josè Padilha.
“Tropa de elite” con le premesse di un film d'azione convenzionale getta nella mischia gli ingredienti prelibati del cinema vero, quello imbevuto di impegno civile e denuncia sociale. Con uno stile essenziale e spietato, che non lascia spazio alla spettacolarità e alla finzione (frequente l'uso della camera a mano in corsa, tipico dei notiziari), ci catapulta nella realtà orripilante della lotta armata all'interno delle periferie di Rio dove i poliziotti sono e restano carne da macello.
Ma il film va oltre: vuole ispirarsi infatti a quei brutali fatti di cronaca che hanno anticipato la visita in Brasile di papa Giovanni Paolo II nell'estate del 1997. In quel periodo infatti il “BOPE”, nucleo delle squadre speciali d'assalto brasiliane, fu impegnato in una drammatica e cruenta opera di rastrellamento all'interno della favelas Turano, adiacente all'arcivescovado, dove avrebbe dovuto alloggiare il pontefice.
Vengono così ricostruite le vite di alcuni poliziotti che parteciparono alla missione speciale: un capitano di squadra che vuole selezionare il suo successore per motivi familiari e che per questo motivo è vittima di crisi da stress; due aspiranti ufficiali, venuti a conoscenza di gravi episodi di corruzione all'interno del corpo, che si arruolano nel BOPE ma vanno incontro ad una sorte diversa; giovani universitari coinvolti dalla sanguinosa lotta di quartiere.
Il cinema verità di Padilha merita applausi e ci riporta indietro di quarant'anni; non sappiamo fino a che punto l'omaggio fatto a “La battaglia di Algeri” di Pontecorvo sia esplicito o involontario. Fatto sta che lo stile documentaristico e frenetico utilizzato dal regista nelle varie fasi del suo film (che come “Full metal jacket” di Kubrick è diviso in fasi narrative ben distinte, compresa quella dell'addestramento) svuota la spettacolarità del cinema d'azione di evasione. Si prova spesso un disagio e un senso di spiazzamento davanti all'autenticità degli eventi descritti all'interno di questi labirintici quartieri ai confini del mondo. La repulsione sottrae spazio all'intrattenimento, insomma, e si riscoprono motivazioni più nobili di altre.
Film interessante, dalla lavorazione travagliatissima (molti gli episodi di sabotaggio e di intolleranza durante le riprese) legato ad un fatto che non ha precedenti nella storia del cinema. Ancora prima della sua uscita ufficiale nelle sale il film era stato già visto illegalmente con avidità da milioni di spettatori brasiliani a causa di una copia pirata sfuggita al controllo dei distributori. E' come se questa forte denuncia lanciata da Padilha fosse stata tacitamente condivisa da vittime e allo stesso tempo autori di questo sistema corrotto. A conferma che quasi mai nella vita raccontare una realtà serve a cambiarla...
UCI Cinemas, Molfetta - Giugno 2008 (Barisera) |