"La stazione" è una di quelle opere prime attorno alla quale il cinema italiano farebbe meglio a stringersi, una realizzazione efficace e indovinata portata a segno da Sergio Rubini, emigrato al cinema qualche anno fa in chiave felliniana ("Intervista", 1987), partito dai primi esordi cabarettistici in alcune trasmissioni televisive. Sergio Rubini è autore passionale e accorto, attore maturo e cineasta in odore di riconferma. Il suo lavoro è un film che, attraverso l'analisi psicologica dei suoi tre personaggi chiave, innesta nella mentalità dello spettatore il divario delle classi sociali: il lavoratore che vive le amarezze quotidiane senza patirle e il borghese arrogante che vive i suoi capricci con inutili ed eccessive tensioni. Il confronto fra queste due diverse prospettive nasce in virtù del viso grazioso di una donna venuta a rivoluzionare la monotonia quotidiana di un piccolo uomo. La storia ci racconta in pratica la strana notte vissuta in un immaginario paesino pugliese dove vive Domenico (Sergio Rubini), impiegato presso la stazioncina ferroviaria periferica, a contatto con la sua routine: la madre, il suo lavoro che chiaramente tende a perpetuare la tradizione di famiglia (anche il padre con anni di onorato servizio per le Ferrovie dello stato) e una sana educazione che fa di lui un ragazzo semplice e onesto. Domenico si appresta quindi a trascorrere una delle sue solite notti nell'accogliente ufficio della piccola stazione, a contatto con treni da seguire e scambi da regolare. Egli impiega il tempo che gli rimane fra un treno e l'altro, imparando un po' di tedesco, guardando la televisione e cronometrando i tempi delle varie faccende. Il povero protagonista ignora che nei pressi della sua stazione, in un casolare di campagna, l'alta società è riunita per un party lussuoso. Flavia (Margherita Buy), scopre che il suo fidanzato Danilo (Ennio Fantastichini) la sta strumentalizzando per scopi personali e allora decide di tornarsene a Roma. Ma si scatena un diluvio durante il quale il povero Domenico riesce a fatica a star dietro al traffico ferroviario. La ragazza bussa alla sua porta, vorrebbe partire, e in quel momento gli cambia la vita...
E' un film complesso, ricco di spunti, che affida al suo finale controverso gran parte della sua funzionalità. A proposito del cambiamento sconvolgente che condiziona il personaggio principale, molti hanno accostato questo piccolo film ad esempi più significativi di violenza domestica come "Cane di paglia" di Peckinpah. Il realtà in questo caso la prepotenza borghese di Ennio Fantastichini si colloca nella dimensione dell'antieroe menefreghista e materialista in aperto combattimento con l'atteggiamento rivoluzionario costituito dalla pazienza e dalla mitezza degli altri due personaggi. Su entrambi i fronti prevale il personaggio di Sergio Rubini, cui l'attore pugliese conferisce un notevole spessore umano attraverso godibili inflessioni dialettali, semplicità dei discorsi e frasi (in lacrime, in una sequenza bellissima, riuscirà ad esprimere il suo innamoramento), l'interesse per cose apparentemente superflue che costituiscono appagamento dell'umiltà. Ritratto di provincia come molti altri che lo hanno preceduto "La stazione" ha però il pregio di aver sfidato la difficoltà di una trasposizione teatrale (il film è tratto dalla piece di Umberto Marino) con un dinamismo che nel film si percepisce attraverso le situazioni concitate. Rubini si è affidato inoltre a due validissimi attori (Margherita Buy, già apprezzata ne "La settimana della sfinge" è un volto interessante del nuovo cinema italiano), alla stupenda fotografia di Alessio Gelsini che già con Brass aveva affrontato la cifra stilistica del notturno lungo ("Snack Bar Budapest"). Il film è diviso in due parti: la prima mira a descrivere minuziosamente il carattere dei vari personaggi, la seconda destinata ad affrettare i tempi attraverso eventi imprevedibili, cui giova un accumulo di sanguigna tensione. Un'opera prima ottenuta con mezzi semplici che ha sbaragliato le attese a Venezia nella "Settimana della Critica" con il premio Fipresci mettendo d'accordo critica e pubblico.
Supercinema, Trani - 17 Novembre 1990 |