Ai giorni nostri Aydin (un superlativo Haluk Bilginer) è un ricco possidente che ha costruito per se e per i familiari con cui vive, una sorella e una giovane moglie, un "buen retiro" arroccato nel cuore dell'Anatolia: un albergo che si mimetizza nella roccia, dal quale domina la vallata. E' bassa stagione, i turisti scarseggiano e Aydin, che scopriamo essere stato in passato un discreto attore, passa il suo tempo a scrivere dei pezzi per un giornale locale, sognando però di realizzare un libro sulla storia del suo teatro. E' un uomo risoluto, cocciuto, mite ma stupidamente accentratore che vuole tenere sotto controllo tutto, sopportato e disprezzato dalle persone a lui vicine, confortato alla bisogna da un attendente che fa il lavoro manuale per suo conto. Quando un bel giorno, tornando in albergo, il finestrino della sua campagnola viene colpito dalla sassata del figlio di un suo inquilino pignorato che non ce la fa a pagare, Aydin comincia a trovarsi faccia a faccia con la sua solitudine. Cerca di scappare come può, con la mente o rinviando più volte improbabili partenze per Istanbul, ma la noia lo attanaglia. Eccolo allora immergersi in lunghe conversazioni con la sorella, nelle cui delusioni si specchia, o in un drammatico alterco con la sua moglie che, in un momento decisivo, gli svelerà di non amarlo.
La creatività di Nuri Bilge Ceylan, il suo cinema avvolgente e intenso costruito sulla base di una rinuncia radicale ai tempi classici, torna ad avere ampio respiro in un film in realtà più intimo, più piccolo, ricavato nello spazio metateatrale che rimanda inevitabilmente a Cechov. Rispetto a quello che lo ha preceduto, il film in questione si rivela un banco di prova essenziale per l'incontro progressivo di autore e spettatore su un sentiero lungo, magico che è quello del racconto attraverso la parola. La fatica della visione di "Winter sleep" sta infatti nel cogliere i numerosi riferimenti, la filosofia applicata ad un dissesto familiare che svela la solitudine, che arriva attraverso i dialoghi che sono la vera anima di un'opera che esce sporadicamente dal guscio dell'impianto, consentendo poche boccate di ossigeno all'aperto, sui luoghi magici ed incontaminati della Cappadocia. E' come se Ceylan volesse veicolare l'emozione dello spettatore attento attraverso la parola guidata dal pensiero, scavando nell'anima dei suoi personaggi ponendo il suo "spettatore" davanti ad uno specchio in cui ci si ritrova comunque. Meritatissima Palma d'oro a Cannes, il film si avvale di un inizio folgorante ma soprattutto di un epilogo sorprendente, al di là di alcuni sviluppi della storia più o meno prevedibili. Una voce fuori campo e un "nostos", un ritorno a casa appunto, fatto di sguardi, immagini, di un grande cinema, insomma, in grado di scaldare l'anima e di confortare lo spirito. Tutto questo ben oltre le estensioni, più o meno giustificare, di un'opera che si concede le durate di un kolossal ma allo stesso tempo applica questa inattesa dilatazione ai grandi tempi della recitazione, a certe pause che si trasformano in riflessione, in un distacco dal reale che ci avvinghia però alla nostra anima. Superlativo, si diceva, il protagonista Haluk Bilginer, col suo cinismo fatto di finti sorrisi e un potere iniziale (non solo economico) che si svela verso la fine in fallimento esistenziale, profonda vulnerabilità, e la necessità d'essere amato comunque, anche non a modo suo.
Cinema Opera, Barletta - 15 Ottobre 2014 |