La ghiotta opportunità di poter dedicare una pellicola alla vita straordinaria di Primo Carnera, primo pugile italiano in assoluto ad aver conquistato la vetta del titolo mondiale negli anni '30, è finita (diciamo così) incautamente nelle mani di Renzo Martinelli. Un regista scrupoloso ed onesto, per carità!, ma troppo legato a schemi vecchi e superati per i quali la vita di un uomo deve per forza concretizzarsi in una piatta e fedele cronistoria senz'anima. Ci troviamo pertanto di fronte ad un film che tecnicamente ci spiazza: da un lato l'alto impegno formale per ricostruire con non poche difficoltà (si tratta forse del film italiano in cui si è fatto più uso degli effetti speciali al computer) incredibili scene di massa e incontri di boxe, ambienti di paesi diversi in epoche distanti, costumi bellissimi, una fotografia mozzafiato che mescola abilmente le immagini di repertorio (a volta artefatte) con quelle reali. Nella lista dei cattivi finiscono però in primis gli sceneggiatori, colpevoli di aver appunto dato a “Carnera” l'aspetto anonimo di un fenomeno da baraccone da prima serata. Per chi non lo sapesse questa versione cinematografica di due ore abbondanti non è altro che una “riduzione” del prodotto che vedremo sui canali Mediaset la prossima stagione. Torna pertanto in agguato la cattiva abitudine di ridurre per il cinema merce destinata invece a sfruttamente ben diverso.
Come definire questa operazione? Un test, una prova generale? Bisogna innanzitutto partire dal presupposto che il pubblico cinematografico ha esigenze molto diverse da chi occupa comodamente la poltrona di casa. Il cinema rappresenta una scelta precisa, la televisione un obbligo in cui lo spettatore spesso cade inerme, veicolando il telecomando, senza volerlo.
Risulta pertanto oltremodo imbarazzante e avvilente il clima da “soap-opera” che vi si respira. In questo i pur volenterosi Martinelli e Ferrini hanno commesso un errore imperdonabile: limitare cioè i sessant'anni di carriera di un pioniere del pugilato italiano alle risicate atmosfere da fotoromanzo, che ben si adeguano tuttavia alle esigenze di un pubblico televisivo abituato alla pubblicità dello yogurt fra un bacio appassionato ed un altro. Non vorremmo parlare di occasione persa, perchè sarebbe davvero un peccato demolire o liquidare in fretta con la cocente delusione provata una biografia che ha l'unica sfortuna di essere capitata sotto i colpi bassi dei loro autori.
Eppure i patiti della “nobile arte” avranno lo stesso la possibilità di apprezzare la formidabile ricostruzione biografica fatta da Martinelli su un mito della storia italiana. Nato nel 1906 a Sequals, un paesino friulano, Primo Carnera sin da bambino aveva compreso che il suo destino era legato alla sua stazza. Dopo essersi trasferito giovanissimo in Francia per sfuggire alla carestia italiana si avvia alla carriera circense esibendosi come fenomeno da baraccone nello spettacolo di Ledudal. Qui Primo viene notato da un talent-scout della boxe che lo affida al manager esperto Leon Sèe (un bravissimo F.Murray Abraham). Sgraziato e goffo nei movimenti sul ring, Primo apprende però in fretta le basi del combattimento e chiede ai suoi “tutori” di debuttare contro un campione. E' l'inizio di una straordinaria carriera come pugile professionista con avversari stesi al tappeto dai suoi micidiali colpi e dai suoi 110 chili distribuiti su 2 metri e 5 di altezza. Una vita di successi ma anche di dispiaceri (il rimorso per aver provocato la morte sul ring di Ernie Schaff, avversario leale), un matrimonio fra alti e bassi, la gloria ottenuta come simbolo vincente dell'Italia fascista, la perdita dei suoi guadagni per la disonestà dei suoi consulenti.
Martinelli ritrae “la montagna che cammina” Carnera come un gigante buono (interpretato dall'esordiente Iaia), a volte dislessico e impacciato, gli fa ripetere con un doppiaggio allucinante a mò di tormentone la frase storica: “nella vita ho preso e dato molti pugni, ma lo rifarei perchè sono serviti ad allevare i miei figli” (almeno tre volte), ricama a maglia parecchia lana sulla sua storia d'amore non proprio felice. Appiccica, come se non bastasse, le solite sferzate sui giornalisti e sui critici che a suo parere sono soltanto “dei falliti e dei repressi che sputano sentenze perchè invidiano il successo degli altri” (Carnera replica così all'articolo di un critico sportivo). Se Martinelli comprendesse una buona volta che il critico purtroppo per ovvie ragioni è portato a frequentare anche un cinema che non lo riguarda, riuscirebbe a risparmiarse queste esternazioni puerili. I suoi colpi bassi tirati a vuoto non portano a nulla; presentato in una cornice di lusso questo “Carnera” non pienamente riuscito non cambia di una virgola la nostra stima nei suoi confronti. Rischiando spesso di persona con personali mezzi finanziari il regista in questione in fondo è un onesto artigiano con una forza di volontà sproporzionata rispetto alla capacità. Con la lungimiranza dei saggi si può ben sperare che con il razionamento in due puntate “Carnera” conquisterà senza ombra di dubbio la zuccherata vetta di qualche ambito premio per la tv.
Cinema Opera, Barletta - Maggio 2008 (Barisera) |