Di Joseph Mallord William Turner, pittore paesaggista londinese, vissuto a cavallo fra il '700 e l'800, dal punto di vista critico si è detto di tutto, sono molte le testimonianze dei colleghi europei che a contatto ne avvertirono i primi segnali di impressionismo, destreggiandosi in dichiarazioni a volte entusiaste, a volte tiepide. Mike Leigh, che si è addossato la responsabilità del biopic, è andato oltre: mettendo al servizio del grande artista una lavorazione lunga (ma a basso costo) e minuziosa, dove inevitabilmente finiscono col prevalere le luci di Dick Pope, impeccabile autore di immagini straordinarie che assottigliano la barriera fra cinema e pittura. Rispetto alle altre biografie, a volte colorite da clamorosi falsi storici o da pieghe di racconto intenzionate più che altro a cogliere il lato umano di questi grandi esponenti dell'arte, Mike Leigh asciuga lo script, anzi ne scarnifica a volte volutamente le probabili trappole romantiche. Turner, interpretato da un fenomenale Timothy Spall (giustamente premiato a Cannes come miglior attore), diventa un antieroe sgraziato e sgradevole, capace di incupirsi davanti con indifferenza davanti alle tentazioni delle bellezze della natura, di grugnire per nervosismo e disagio, di svelare i bassi istinti animaleschi possedendo un'inerme e passiva domestica ma anche di piangere come un novello Mangiafuoco davanti ad una prostituta che dice di avere appena 22 anni o di rinnegare le figlie naturali ed un nipotino, come fossero effetti collaterali, indesiderati della sua esistenza. Leigh riesce a cogliere e a trasmettere allo spettatore la grandezza di un artista, responsabile di controverse scelte personali (Turner non accettò mai le sterline dei collezionisti, non volle arricchirsi con la sua arte, ma donò tutte le sue opere alla sua patria), di assurde esperienze (tipo farsi legare ad un albero di una nave in tempesta per coglierne meglio le emozioni) ma anche di inaspettati carichi d'umanità. Nel film ci vengono raccontati gli ultimi anni della sua vita, con un Turner già affermato, e quindi il suo bellissimo rapporto col padre a carico. Diffidente e solitario, il pittore pensa solo al suo lavoro, rifugiandosi talvolta per trovare l'ispirazione in una cittadina marinara del Kent dove, sotto falso nome, coglie da buon paesaggista, i primi raggi di sole. Qui conoscerà una locandiera che si rivelerà determinante negli ultimi anni di carriera dove continuerà a nascondersi. Membro della Royal Academy of Arts, non riuscì mai ad integrarsi con gli altri colleghi, riuscendo a stabilire una collaborazione essenziale con l'anziano genitore che gli fece da assistente fino alla morte che gettò Turner in un lungo periodo di crisi.
Emozioni asciugate da Leigh attraverso un'impeccabile prova d'attori (notevole anche la silenziosa Dorothy Atkinson), impreziosite dalla magia di alcune sequenze dilatate (meravigliosa la sequenza di apertura in Olanda che svela l'artista, perso nel movimento di macchina in un campo lungo, mentre si appassiona a ritrarre un tramonto) e da un'eleganza formale che riesce ad inquadrare a meraviglia il "mestiere dell'artista", allontanandosi nello specifico dalla vicenda privata del Turner stesso. Un esempio imperdibile di come il cinema riesca a raccontare un'altra forma d'arte con discrezione e tenerezza. Un film che avrebbe meritato qualcosa in più delle ineccepibili candidature all'Oscar per la pregevolezza tecnica. Sovrastato da un grande Timothy Spall, un passato cinematografico di servizievole caratterista, che si è immedesimato così tanto nel suo difficile personaggio da aver immagazzinato nozioni di pittura.
Cinema Opera, Barletta - 1 Febbraio 2015 |