Il sogno (d'oro), uno dei tanti fra gli incubi del reale in agguato, è quello in cui Margherita (M.Buy) va controcorrente verso una lunghissima fila assiepata davanti al cinema Capranichetta dove programmano "Il cielo sopra Berlino" di Wenders e incrocia lo sguardo del fratello che le chiede di dare una svolta alla sua esistenza. Il Capranichetta da anni non è più adibito a luogo di sala cinematografica, è ormai un centro congressi collocato nel cuore politico della capitale, ma trent'anni fa ospitò per circa sei mesi proprio quel film di Wenders (cosa che si sta ripetendo in quest'ultimo periodo in una sala di Trastevere con "Il sale della terra"). Sogno e realtà si avvicendano, toccando i fili scoperti della finzione in questo ultimo lavoro di Moretti che, a distanza di quattro anni da "Habemus papam" torna ad elaborare un nuovo dramma intimista sul dolore senza le inibizioni e le coperture dalla metafora. Il film è fortemente autobiografico, appassionato dalla semplicità con cui il regista si avvicina in modo diretto, anche se nella storia non è protagonista assoluto, al racconto della perdita della madre Agata Apicella, avvenuta durante le fasi di montaggio del film precedente. La madre, insegnante di lettere al ginnasio nel liceo Visconti di Roma, fu una persona speciale per i suoi alunni. Un ex studente al funerale chiede alla figlia di non ingelosirsi per tanto invadente affetto: confidente brillante dei suoi studenti, insegnò loro la vita come materia essenziale, prima delle altre. Moretti coglie gli aspetti di questa personalità dolce e conciliante ricamando il personaggio addosso alla bravissima Giulia Lazzarini (all'attivo più nella prosa televisiva che nel cinema) e spingendosi davvero oltre nei frequenti ricordi di una forte presenza che si materializza nei piccoli gesti. Il nucleo familiare diventa emblema di conforto per i due figli, Giovanni (Moretti) e Margherita, che attraversano rispettivamente una profonda crisi professionale per le ansie e le preoccupazioni della vecchia madre ricoverata in ospedale, sul cui destino pende un verdetto già scritto. Margherita, separata, con una figlia liceale si rifugia in storie sbagliate e soffre sulla sua pelle il dramma del film di impegno sociale che porta avanti a fatica fra sconforto e isterismi. E' una regista attenta, ma demotivata, che si perde d'animo davanti alle bizze di un attore americano suonato ed esuberante (John Turturro) e che ha solo fretta di andare avanti. Il fratello, pur di dedicarsi alle cure della madre, si concede un'aspettativa. I turni in ospedale, la figlia da accudire. E i ricordi che rivivono sulle pareti, gli scaffali della casa materna. La paura del vuoto, della solitudine, di un domani incerto.
Scritto da Nanni Moretti con Francesco Piccolo e Valia Santella, è un film dove tornano temi assai cari al regista che ben conosciamo: dall'incrocio di finzione e realtà che lo segue dai tempi di "Sogni d'oro", anche se sono cambiate le circostanze, alla nuova crisi morale che il cinema stesso si preoccupa di raccontare fra in pieno appannamento. Moretti gioca con i suoi schemi classici, stavolta con maggiore discrezione, accentuando in maniera consistente la dimensione intimistica, distillando una colonna sonora di repertorio che incrocia il piano di Arvo Part con brani di Leonard Cohen e Jarvis Cocker. Pur defilandosi come testimone centrale della storia, lo palpiamo nel frequente smarrimento della protagonista, nel suo percorso di sofferenza e di paura, ben diverso dalla sola elaborazione del lutto che era pretesto narrativo ad esempio per "La stanza del figlio".
"Mia madre" rivela un'anima nobile insolita del cinematografare morettiano sottoposto ad un radicale cambiamento. Da sempre attento all'equilibrio dei doveri dei figli e di quello dei genitori, ritorna su un tema che già era stato elaborato in un certo senso ne "La messa è finita", attraverso il suicidio della madre di don Giulio. Si ha l'impressione, tuttavia, che a Moretti interessi sottolineare anche disagio ed inquietudine che si respirano fuori dal guscio materno, fuori dalla catena protettiva degli affetti veri. Su un insopprimibile peso di un reale inconsistente dove il rifugio prezioso diventa il legame profondo con la sorella (bravissima la Buy), più amicale che fraterno. Un film maturo solo a tratti, sprovvisto di un calore diretto, che si mantiene a debita distanza, pur inquadrando un tema nel quale ciascuno di noi può riconoscersi. Ma è una discrezione palpabile, ammirevole, che conferisce all'insieme il fascino di un'opera nuova, diversa, nonostante in essa si rispecchiano delle tematiche realistiche già esplorate da Moretti in occasioni precedenti.
Cinema Impero, Trani - 18 Aprile 2015
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