Prosegue a passo spedito in totale autonomia la carriera internazionale di Paolo Sorrentino, atteso al varco dall'impegno di una serie televisiva straniera, fra le ben note ossessioni estetiche tessute attraverso la buona scrittura mentre pubblico e critica si dividono anche stavolta come in un acceso dibattito politico, fra sostenitori e detrattori (e sarà sempre così). E' un autore ormai in sintonia con la consapevolezza di far discutere, Sorrentino, e gioca bene le sue carte del semidio dai movimenti di macchina, esasperando il mezzo cinematografico, inseguendo sogni e utopie formali mettendole al servizio per l'occasione, pare, di un racconto personale. Archiviato il decadimento sociale del presente del film Oscar, Sorrentino piazza il suo tunnel fra passato e futuro, fra rimpianto di quello che è stato e l'incertezza di quello che sarà. Con intenzioni che, a dispetto del titolo, focalizzano un tema caro al Mann di "Morte a Venezia" che è quello della vecchiaia abitata da sogni e incubi, da tenerezza e paura. Non è un caso che lo scenario dove si svolge questo film, sulla carta minore, sia proprio quello raccontato da Mann stesso ne "La montagna incantata": l'hotel Schatzalp di Davos (Svizzera). Crocevia di facoltosi artisti in pensione e di personaggi famosi che vanno a rimettersi in sesto fra passeggiate, centro benessere e aria pura, la struttura imponente ai piedi delle Alpi, vanta fra i suoi ospiti Fred Ballinger (Michael Caine), anziano direttore d'orchestra, assistito dalla figlia Leda (Rachel Weisz) e il quasi coetaneo, nonché consuocero, Mick Boyle (Harvey Keitel), brillante regista, ritiratosi in vacanza per scrivere la sceneggiatura del suo nuovo film. Il soggiorno prosegue nella totale tranquillità che consente ai personaggi principali di ricavare un bilancio esistenziale: tanto Fred ha rinunciato alla musica, e poi scopriremo il perché, rifiutando le allettanti proposte di un emissario della regina d'Inghilterra che vorrebbe da lui un ultimo concerto, quanto Mick non vede l'ora di tornare in pista. Fred è condizionato da alcuni sensi di colpa, dal dubbio di non essere stato un marito e un padre adeguato e di essere indirettamente causa dell'infelicità di sua figlia, abbandonata per motivi di letto dal compagno. La vacanza trascorre fra la contemplazione di una natura che sovrasta gli animi e l'oziosa ciclicità dei confort; altri personaggi sullo sfondo interagiscono mischiandosi al gioco delle parti del microcosmo: un ex calciatore obeso, un giovane attore in crisi, una miss Universo con doti intellettuali pari, se non superiori, alla sua bellezza, un orientale che si cimenta sul prato in esperimenti di levitazione.
Anche stavolta Sorrentino riesce a fare volentieri a meno di una trama lineare per mettersi al servizio di un'immaginazione che, fortunatamente, ha ben pochi debiti da saldare col nostro cinema del passato. E sono gallerie figurativamente suggestive, che strizzano l'occhio al cinema europeo sfatto e decomposto di Andersson e Seidl. Nelle due ore di visione lo spettatore partecipa all'isolamento forzato dei protagonisti, diventa testimone consapevole di intrecci esistenziali che scavano nelle imperfezioni dell'anima e nella fugacità della vita che scorre, vola, non lascia tregua nella sua inafferrabilità. Vi è comunque un evidente peso specifico personale in questi personaggi turbati da cordoni affettivi recisi dal tempo (i genitori scomparsi da tempo), dal rimorso dell'inadeguatezza, da una felicità non garantita dalle cose materiali, smarriti e girovaghi. Nella complessità delle premesse e nell'imponenza strutturale che dal punto di vista visionario continua ad assecondare, come si è detto, ossessioni e sogni del suo regista, "Youth" apre a suo modo un dibattito sulla vita affidato alla libera interpretazione dello spettatore che la fa sua. L'autore napoletano riesce ad avvicinarsi con discrezione sfumature esistenziali con un tono più diretto rispetto al film precedente, pur mantenendo agli stessi livelli la freddezza dell'impianto e una pretenziosità di approccio. Ci si appassiona a debita distanza, insomma, incrociando il vissuto di questi protagonisti imponenti (e Michael Caine ci regala un'interpretazione formidabile), ma questo non salva comunque da un benefico ed inevitabile disorientamento. Con toni non tanto scanzonati da commedia nera, Sorrentino gioca su dialoghi che risultano esilaranti quando non vogliono esserlo e un umorismo più involontario che calcolato e con sequenze sorprendenti (piazza San Marco allagata, i silenzi termali, l'armonia della natura). Ma l'imponenza scenica c'è, il cinema albeggia e si propone con intensità. La maturazione prosegue, con tutta la sua naturale serie di contraddizioni, verso un talento ormai incontrollato ed incontrollabile destinato comunque a rappresentarci con un certo merito, piaccia o non piaccia.
Cinema Elia, Corato - 20 Maggio 2015 |