Un pomeriggio di un giorno da cani nella filiale di una banca nel cuore di New York: uomini travestiti da imbianchini, armati fino ai denti, capeggiati da un enigmatico e strafottente Clive Owen, mettono in atto un piano minuzioso ed infallibile per sottrarre qualcosa di importante nascosto nel caveau del piano inferiore. Cinquanta ostaggi vengono sequestrati e diventano merce di scambio ma nessuno dei cattivi ha fretta di concludere l’operazione…
Dinamica e prassi insolita per uno strano colpo che trent’anni fa l’impaurito Al Pacino avrebbe messo in pratica fra una leggerezza e l‘altra (tipo uscire dalla banca a viso scoperto). Ed invece in questo caso si tratta di un vero e proprio intervento chirurgico criminale perché a quanto pare i milioni di dollari bene in vista non interessano a nessuno, così come l’atteso ticchettio della violenza stenta ad esplodere lasciando spazio al sangue freddo e ai nervi saldi. Un po’ rapinatori gentiluomini e con molta esperienza nel raggiro (“Ocean’s eleven” ha fatto scuola) i membri della banda mescolano le carte, sparano richieste un po’ antiquate (un jet pronto a decollare in aeroporto, i pullman che dovranno trasportare gli ostaggi) e prendono tempo dando l’impressione di non voler combinare danni.
Nel frattempo sono in allerta un negoziatore in attesa di una promozione (uno straordinario Denzel Washington), un poliziotto (Willem Dafoe) che segue le operazioni all’interno del furgone del dipartimento e un’esperta di servizi segreti (Jodie Foster) che ha l’incarico di arrivare al traguardo prima che sia troppo tardi… Fra citazioni shakespeariane, manierismi da gran regista (due sono i set come i due mondi che vuol descrivere) una chiusa che fa riflettere pronunciata da un antieroe: “meglio invecchiare da intellettuale che crepare da benpensante”.
Fa piacere vedere il grande Spike Lee cimentarsi con i tempi frenetici e i ritmi serrati del cinema d’azione che egli stesso ha sempre detestato, orientandosi verso una filmografia schiva ed indipendente. Però una spiegazione logica c’è; al regista interessa raccontare la solita storia del colpo del secolo senza cadere nei rischi in agguato: il prevedibile e lo scontato. In pratica “Inside man” pur raccontando una vicenda che abbiamo già visto tante volte dimostra quantomeno grande originalità nello svolgimento. Racconta una rapina a tre dimensioni, cerca di ricostruirne i tasselli attraverso l’uso del flashback e dei salti temporali nella storia, alla fine c’è spazio pure per una libera interpretazione. Insomma un “Joint”, come lo chiama lui, a tutti gli effetti che diverte, entusiasma e sorprende. Ad una parte vivace (quella iniziale) che descrive le fasi salienti del fin troppo facile assalto alla fortezza, ne segue un’altra più riflessiva e complicata che si preoccupa di mettere a fuoco le individualità dei protagonisti dell’intrigo. E come sempre tanto ma tanto amore per la grande mela dove, come Woody Allen, Spike Lee ha girato tanti film.
In passerella ritroviamo i soliti mostri sacri che se ben amalgamati contribuiscono al successo del film. Fra questi un ritrovato Christopher Plummer, grande vecchio, che fa il verso al Laurence Olivier de “Il maratoneta” cui in parte il succo occulto della vicenda è in debito. Ma forse nessuno ci aveva pensato.
Supercinema, Trani - Aprile 2006 (Barisera)
|