Lo definiscono film d’animazione per adulti. Ma non ha nulla a che vedere con i pornocartoons tanto in voga nella metà degli settanta, un genere il cui pioniere fu un certo Ralph Bakshi (“Fritz il gatto”), in Italia ispirò poi brillanti disegnatori (Gibba e Guido Manuli) per poi svanire nel nulla.
Per adulti sono invece le tematiche che la pellicola affronta, servendosi della tecnica della computer grafica solitamente dedicata a tematiche più leggere, quasi sempre affrontate in periodo natalizio col marchio di fabbrica di produzioni fedeli e puntuali (la Pixar di casa Disney).
Ne viene fuori una mistura micidiale perché la storia prende a bersaglio il degrado generazionale degli adolescenti europei (danesi per l’occasione) e la condisce con il doppiaggio, i dialoghi e le canzoni di Elio e le Storie Tese che per fatale combinazione si sono fatti le ossa con un analogo repertorio musicale. Risultato: un’alchimia perfetta.
Assistiamo così alle avventure del protagonista Terkel, un ragazzino che frequenta la prima media e che deve vedersela ogni giorno con una madre logorroica che fuma in continuazione e non lo ascolta mai, un padre che sta tutto il giorno con il giornale aperto davanti alla faccia e dice sempre no (è la trovata più esilarante del film), una sorellina che chiede inutilmente di giocare con lui e rimedia sempre e solo porte in faccia, uno zio ubriacone e violento buono a nulla. Come se non bastasse c’è l’anomala fauna scolastica: un pimpante supplente muscoloso ed ambiguo, una compagna di cicciona che viene ripetutamente derisa e che in preda alla disperazione si defenestra, due bulletti che mettono a soqquadro l’istituto, l’amico del cuore che è un potenziale teppista perché se ne va in giro con una spranga di ferro non vedendo mai l’ora di usarla…
Atroce, divertente, zeppo di riferimenti che sfuggirebbero comunque ad una prima ed affrettata visione, “Turkel” rappresenta un modo alternativo di fare intrattenimento cinematografico. I temi che affronta con il tocco leggero del cartone sono toccanti e incredibilmente veri: si va dall’emargi- nazione, alla violenza psicologica, ai problemi in famiglia, alla incomunicabilità con i genitori. I dialoghi sono irresistibili, lo slang giovanilistico è accentuato dalla cadenza lombarda e “panina- resca”dei vari cabarettisti (fra cui Bisio, Lella Costa e Rocco Tanica) e in più ci sono delle micro storielline (la ballata dell‘infelice bimbo taiwanese) che definire geniali sarebbe riduttivo. A fine visione cala un imbarazzo generale perchè in sostanza c’è davvero poco da ridere…
Già alcuni autori americani avevano avuto la stessa ispirazione mettendo alla berlina la difficile realtà adolescenziale nella celebre saga di “South park” che ha avuto in Italia una discreta visibilità sui canali Mediaset. Ma “Terkel” ha di sicuro una marcia in più che è quella di una volgarità logica. Non ci sono eccessi, paradossi che non abbiano nel film un significato inutile o gratuito. Tutta la negatività o la malsanità dei personaggi sono il nocciolo di un perbenismo (leggi ignorare il problema) che viene invece affrontato con un impatto violento, spogliato della sua falsità per costringerci ad una riflessione.
In fin dei conti pur non avendo a che fare con una realtà così esagerata (ma siamo sicuri?) noi italiani non possiamo non ammettere che le distanze fra le generazioni sono davvero abissali. Mondi opposti che non comunicano, abitudini diverse che non si incontrano, standardizzazione accentuata ad arte dai reality, dal perfezionismo degli spot e di mediocre matrice televisiva (ma si fa peccato a parlarne male?).
Chissà se in odore di riforma la Moratti avrebbe avuto occasione di vedere questo scorrettissimo gioco a otto mani (si sono spremute ben quattro meningi, infatti). Fra stupore e scandalo avrebbe forse ripristinato i metal detector all’ingresso delle aule. In America hanno già provveduto.
Cinestar, Andria - Aprile 2006 (Barisera) |