Ultimo film di Pier Paolo Pasolini, distribuito nel gennaio 1976 a soli due mesi di distanza dalla sua tragica morte, "Salò o le 120 giornate di Sodoma" può essere inteso come un addio premeditato, lasciato da un poeta che aveva finalmente ritrovato dopo i controversi anni '60 una giusta dimensione ironica, salutare e meditativa con la "Trilogia della vita". Dopo il triennio novellistico Pasolini tornò ad incupirsi nei climi funerei e funesti che già si avvertirono nel '68 caldo con "Teorema" e, basandosi sui testi del De Sade (opera incompiuta, scritta in detenzione alla fine del '700), diresse faticosamente un film-denuncia destinato a condannare gli abusi del potere che, per i motivi che ci possiamo ben immaginare, risultò indigesto anche alla critica francese e subì forti guai giudiziari in un clima pesante di pregiudizio umano ed artistico. Ardue ed impossibili sono state le ulteriori riedizioni prive di tagli: oggi "Salò" esce in videocassetta grazie alla collana della De Laurentiis dedicata al regista friulano e ci sembra tuttavia difficile poter adeguatamente giudicare un film funereo e complesso, ricco di colte citazioni letterarie (specificate con dovizia nei titoli di testa), che ribalta la vena umoristica serbata da Pasolini nel "Decameron". "Salò" è per certi versi un capolavoro di ambientanzione che ricostruisce in modo cruento e con un taglio quasi documentaristico l'Italia del tramonto repubblichino nazifascista del '44-'45 ma, se si considera la voluta accentuazione di alcune tematiche (lo strapotere dei libertini facilita alleanze incestuose e fratricide), non si allontana molto da un certo neorealismo che in un poeta sobrio (nel tema, non certo nella forma) e misurato come Pasolini trova impennate irripetibili di coraggio.
Nel 1945 nella repubblica di Salò quattro libertini rappresentati il potere costituito: un duca (Paolo Bonacelli), un monsignore (Giorgio Cataldi), un presidente (Aldo Valletti) e un'eccellenza (Umberto P.Quintavalle) sottoscrivono un regolamento utile per dare l'avvio ad un'orgia colossale. Il film, strutturato in quattro parti (numero ricorrente), comincia con un prologo ("Antinferno") in cui si assiste al rastrellamento di adolescenti di entrambi i sessi da parte di alcuni collaborazionisti e di un quartetto di esperte meretrici di alto bordo che si incaricano di guidare le nefandezze dei libertini. Accomunati da un destino empio ed ingiusto questi ragaqzzi dovranno accoppiarsi a piacimento, sottostare alla volontà sfrenata dei superiori, evitare tassativamente atti religiosi o sessuali senza permesso, al prezzo della morte. Nel primo girone ("delle manie") la signora Vaccari (Helene Rugere) racconta il suo passato di prostituta, le sue avventure licenziose che accendono gli animi dei quattro signori. Trattati come cani, i ragazzi e le ragazze subiscono ogni sorta di umiliazione, anche per colpa della signora Maggi (Elsa De Giorgi) che nel secondo girone ("della merda") racconta raccapriccianti avventure di coprofagia. Le aberrazioni continuano, i rapporti sessuali permettono alle stesse vittime di diventare complici dei libertini al fine di evitare una sorte drammatica. Nel girone finale ("del sangue) con i racconti della signora Castelli (Caterina Boratto) le sevizie raggiungono il culmine: un collaborazionista sopreso con una servetta di colore viene immediatamente giustiziato, la pianista si defenestra, le torture aumentano in una escalation sfrenata e vertiginosa. Alla fine nel silenzio generale, come in una ritrovata innocenza, due ragazzi muovono timidamente dei passi di danza.
Impressionante, insolito e volutamente stomachevole, "Salò" non offre alcun miraggio di salvezza ad un'umanità vinta dal potere. Le atroci imprese di un quartetto di nazifascisti che strumentalizzano se stessi e trovano nei collaborazionisti i complici delle loro bravata sono il sintomo evidente di un'epoca allo sfascio (ma c'è attendibilità storica: a Salò e Marzabotto furono compiuti dai nazisti dei veri e propri stermini di massa). Le varie citazioni portano ad una sola conclusione: l'anarchia risiede nel fascismo stesso. Sceneggiato da Pasolini con la collaborazione di Sergio Citti (che avrebbe dovuto inizialmente realizzarlo), "Salò" è un film che mette a dura prova l'estro e la generosità di una decina di attori fra cui un quartetto di volti surreali dove Paolo Bonacelli sembra l'unico professionista, mentre Aldo Valletti, comparsa generica di Cinecittà, si muove fra maglie ambigue e stravaganti. A questi si aggiungono uno scrittore (Quintavalle) e un amico di borgata del regista che se la cava con il suo ghigno agghiacciante.
Ricostruzioni musicali di Ennio Morricone, fotografia algida di Tonino Delli Colli, montaggio di Nino Baragli. Pasolini si tiene a distanza, con un cuore che ha smesso di battere, nell'assoluta mancanza di valori umani dove la morte vista come gioco e come ancora di salvezza, diventa l'esercizio massimo del potere. Il delitto intensifica la complicità fra vittime e carnefici, perchè la morte stessa implica questo dualismo. L'aberrazione e il rifiuto nascono infine dall'ossessione nauseante di questo raffronto.
VHS - 30 Maggio 1989 |