Luca Medici, intraprendente golden boy della premiata scuderia Taodue di Pietro Valsecchi, riapre puntualmente l'annosa questione dei costi e dei ricavi della commedia, sbancando già a priori la lotteria di Capodanno, con gli esercenti da tempo in attesa di linfa vitale per contrastare i supplizi stagionali al botteghino. Anche i critici più seriosi (leggasi rosiconi) che si sono piegati, come qualche illustre letterato musone, al trionfo di un attore/autore in grado di dominare i gusti delle masse con una sofisticata ricetta che mette nel piatto una pietanza semplice e digeribile, devono arrendersi davanti ad un fenomeno che tende ad assumere proporzioni ormai incontrollabili. Parabola ascendente, potremmo definirla, visto che negli anni l'impegno del creatore/realizzatore di questa bella favola di nuova comicità nazional-popolare che si chiama Gennaro Nunziante e si arrabatta nel dominio frenetico di inquadrature e situazioni è un pochino maturato sotto l'aspetto tecnico. Il Nunziante regista asseconda come può e come deve i tempi e le "vignette" del protagonista principale come già diligentemente fece Ponzi per Nuti o il gruppo Mastrocinque/Mattoli/Bragaglia per il principe della risata. Acquisendo un predominio scenico, prima o poi il bravo Luca Medici sarà in grado di dirigersi da solo. Cambia poco, comunque, nella sostanza dell'impianto. La leggera commedia sociale di Checco Zalone, che è una sorta di morettiano Michele Apicella naif dei nostri tempi, passa in rassegna stavolta le storture della prima repubblica, spazzata via dalle sirene di legalità. Checco è un virtuoso del posto fisso, servito e riverito dai suoi genitori, corteggiato da una brava ragazza del paese, che sverna sulla scrivania di un ufficio provinciale pugliese dove sciorina permessi e licenze, lasciandosi ungere dai suoi assistiti. Soffiano però i venti di guerra della riforma nel lavoro. Checco si ritrova bersaglio di una tagliatrice di teste (la brava Sonia Bergamasco) che vorrebbe "licenziarlo" con una buona uscita e, pena il trasferimento, mettere così fine al suo posto fisso. Checco non demorde, anzi si aggrappa ai suoi diritti e accetta così di peregrinare in giro per il mondo, sobbarcandosi trasferte punitive in lande isolate (dove troverà l'amore e una benefica rieducazione), mentre la spietata dirigente alza la posta del suo congedo...
Quarto film della collaudata coppia Nunziante/Medici, "Quo vado?" trova un nesso inconsapevole con la penna di Rodolfo Sonego, uno dei più grandi sceneggiatori della commedia italiana dei bei tempi andati, che già a cavallo degli anni '60 descriveva con disinvoltura questo disagio al servizio del cinema di un grande regista dimenticato come Gian Luigi Polidoro. Il calvario dell'italiano all'estero, perno del disadattamento di maschere popolari come il Tognazzi di "Una moglie americana" o il Sordi de "Il diavolo". Ovviamente applicando un processo di attualizzazione per aggangiarsi a quella metodologia di qualunquismo popolare, con buoni sentimenti e ironia senza pretese, che tanto piace al pubblico delle feste. Vi è ben poco di nuovo, quindi, se non una cura maggiore in fase di scrittura che rende l'operazione più solida e convincente. Il mattatore Checco Zalone anche stavolta interagisce spaesato fuori dai suoi confini "terronici", attorniandosi di professionisti della scena come Maurizio Micheli, Ludovica Modugno e l'amichevole partecipazione di Lino Banfi. Il gioco regge perchè le motivazioni in fondo sono sempre le stesse. Anzi rispetto a certo cinema natalizio degli anni '80, all'artigiano Nunziante va riconosciuta una particolare cura per la confezione, tuttavia influenzata da contaminazioni televisive (provenienza di entrambi) che lo allontanano dai meccanismi più seri del vero cinema. Ha ben poco senso quindi accanirsi e storcere il naso davanti ad una tendenza che assume contorni di impresa. Anche se il fenomeno, stranamente duraturo, va analizzato con tutta l'attenzione possibile. Medici è un artista superiore alle cose che fa, un esperto manipolatore di quella fresca semplicità che arriva allo spettatore nell'immediato. Asseconda insomma un pauroso vuoto "scenico", con riflessioni semplici(stiche). Non è detto, infine, che un film che sbanca al botteghino, un'operazione commerciale ed aggressiva (1500 copie, il doppio del film precedente), non possa avere in se margini di qualità. Quello che dispiace, tuttavia, è che film altrettanto validi (pochi sono italiani, in verità) non trovino altrettanta partecipazione. Ma è probabilmente l'unico aspetto sgradevole del cinema inteso con le sue implicazioni industriali: calcolo, statistiche, previsioni di rendimento con il quale l'esperto produttore deve relazionarsi.
Cinema Rinascimento, Pescasseroli - 1 Gennaio 2016 |