"La corrispondenza" riporta il grande cinema visionario di Peppuccio Tornatore ad una dimensione più intima, piuttosto distante dal filone nostalgico dei ricordi giovanili, a partire da una scrittura di base. Il regista siciliano che in veste di unico scrittore e sceneggiatore veleggia in "solitaria" sembra davvero irriconoscibile se paragonato all'epica del primo film "Il camorrista" realizzato la bellezza di trent'anni fa. Non sono cambiate tuttavia le ambizioni che sono quelle di un autore da sempre affascinato dalla possibilità di affrontare ogni volta un nuovo progetto come fosse un'opera prima. Non fa eccezione appunto questo piccolo film in cui riaffiora, e non è un male, un certo nobile cinema del passato che appare ormai lontano e decadente. E' un dramma sentimentale quello che si ritrova a vivere Amy (Olga Kurylenko), studentessa fuori corso, che ha una relazione appassionata con il suo professore universitario e mentore Ed Phoerum (Jeremy Irons), stimato astrofisico. La consistente differenza di età crea un'inevitabile dipendenza non solo sentimentale per la ragazza che ripone nel suo uomo il trauma della perdita del padre. Questa dipendenza si alimenta alla distanza, durante quei vuoti e quelle assenze ai quali i due per rispettivi impegni devono loro malgrado sottostare. E allora è tutta una comunicazione virtuale di videochiamate internet, messaggini sul cellulare e chat in tempo reale ravvivate dalla fiamma ardente di uomo innamorato e dall'istinto protettivo del maturo amante. L'abitudine a questa insana corrispondenza virtuale diventa tormento e sofferenza quando appunto le comunicazioni del vecchio professore assumono un significato diverso. La ragazza prende atto in un modo graduale ma allo stesso tempo traumatico che il professore se ne è andato via per sempre. E allora si aggrappa ai suoi messaggi, ai suoi espedienti organizzati secondo una rete precisa, fino a impazzirne.
Molti sono gli aspetti e le implicazioni che Tornatore si propone di analizzare attraverso questa storia d'amore esposta alla caducità dei sentimenti, sempre sconvolti dalle minacce del reale e dai tormenti di natura biologica. L'aspettativa d'un film che mostri la ritrosia nei riguardi di una comunicazione fatta ormai soltanto di display e tastiere, ostile alle aride evoluzioni tecnologiche, appare limitata. Molto più probabile la legittima aspirazione da parte dell'autore nell'inseguire lo spessore dei rapporti non condizionati e contaminati dall'assiduità, dalla frequenza, accesi dalla passione. Le implicazioni psicanalitiche che pure vengono in apertura da certo cinema di Antonioni precipitano subito nella contorta e non sempre probabile macchinazione che il film assume in chiave di melodramma. La compostezza e l'eleganza dell'impianto, così diverso dai canoni recenti di un cinema italiano che ha smesso di raccontare i sentimenti, assume tuttavia connotazioni fredde, distaccate, che non entrano certo nella passione dello spettatore attraverso la forma, che era una costante del Tornatore della prima fase. Meno invasiva e fuori dalle aspettative tradizionali la partitura di Morricone al quale come al solito spetta il classico compito di commentare con note adeguate la malinconia e il disagio dei due bravissimi interpreti.
Cinema Impero, 14 Gennaio 2016 |