In viaggio con papà e mamma su un camper a noleggio, verso il Colorado. Protagonisti un fratellino con la fissazione del body building e una sorellina con pruriti adolescenziali che guarda tutti dall’alto verso il basso. Il retroscena noto solo allo spettatore è che il capofamiglia ha dovuto disdire la vacanza da sogno alle Hawaii perché strada facendo nasconde un importante appuntamento di lavoro per conto del suo antipatico e borioso capoufficio. E, cosa ben più preoccupante, non ha alcuna dimestichezza con i trabocchetti della ingombrante casa viaggiante. A bordo di questo gigante della strada (dopo una partenza esilarante) cominciano i primi problemi pratici: guasti, anomalie (per lo più di natura scatologica) fino alla prima sosta forzata in un camping. Qui i villeggianti conoscono alcuni campeggiatori sui generis: invadenti, rumorosi ma che si riveleranno alla fine genuini e sinceri ristabilendo l’ordine negli inevitabili intoppi.

Contrariamente alle attese che lasciavano immaginare la solita prevedibile commedia demenziale americana, “Vita da camper” è un brillante ed originale road-movie sostenuto per tutto la sua durata da un Robin Williams in splendida forma. Non è certo nuova l’idea della famiglia di picchiatelli in vacanza: Chevy Chase, precursore negli anni Ottanta di questa serie (il “national lampoon’s vacations“), ci girò intorno all’argomento per ben due o tre volte ottenendo una discreta popolarità. Ma le circostanze in questo caso sono ben diverse; il film in questione non si propone soltanto l’obiettivo di svagare sfruttando la potenzialità comica (sotto certi aspetti dirompente) del suo protagonista, quanto quello di analizzare il rapporto genitori-figli e di soffermarsi sulle fratture generazionali nelle famiglie moderne. Non mancano infine timide incursioni a sfondo “sociale” laddove l’apertura verso il prossimo dovrebbe spingerci a tollerare e comprendere anche chi ci è distante anni luce. A riguardo il film si preoccupa anche di inserirci una morale sostanzialmente semplicistica: pur essendo socialmente dissimili alla fine la solidarietà ci unisce. Ma la diffidenza e i pregiudizi sono due prerogative dei tempi moderni, dure da lenire. Strano a dirsi ma ridendo, talvolta a crepapelle, il messaggio occulto arriva a destinazione e lo spazio per la riflessione non si ritrova oscurato dalla semplicioneria. Dote rara e aspirazione solitamente assente nei film che si prefissano solo ed esclusivamente il già difficoltoso compito di divertire.

Diretto da Barry Sonnenfeld, l’autore di “Men in Black”, il film si avvale come avevamo già preannunciato di una straordinaria performance di Robin Williams, attore duttile e con molta esperienza a riguardo, che torna all’antico restituendoci ora la perduta stramberia di Mork (il mitico telefilm che lo lanciò), ora la tenerezza de “L’attimo fuggente” nei panni di un padre che non riesce a comunicare con i suoi figli testardi. Sorprende, infine, il ritorno di Jeff Daniels che si ritaglia il ruolo del campeggiatore invadente ma con la soluzione in tasca. I duetti nel campeggio, di fantozziana ispirazione, sono memorabili ma occorre la lente d’ingrandimento per trovare tracce sparse di plagio.

Cinestar, Andria - Giugno 2006 (Barisera)