Accettare e compatire la deformità, riportarla ad una dimensione quotidiana, fare tutto questo per narcotizzare la noia ed un’esistenza piatta. Il “ritratto immaginario” di Diane Arbus, molto più complesso, di quanto questo sintetico preambolo possa spiegare ha avuto in realtà una genesi travagliatissima. I diritti della biografia scritta da Patricia Bosworth, da cui è tratto il film, erano nell’aria già dal 1984. Ma l’avvicendamento di produttori coraggiosi o esitanti, registi papabili e sceneggiatori all’altezza ha ritardato smisuratamente l’avvio di questo complicato progetto.
Chi era Diane Arbus? Nata negli anni ‘20 da una famiglia di commercianti ebrei di pellicce e vissuta a New York, Diane si sposò a soli 18 anni con Allan e avviò uno studio fotografico professionale a gestione familiare. La fotografia esercitò su di lei un fascino particolare tant’è che, dopo un periodo iniziale come timida assistente del marito, ebbe modo di entrare in contatto con le più celebri riviste di moda e costume newyorchesi.
Tuttavia il ricambio culturale che negli anni ‘50 si ebbe nella sua metropoli la investì non poco, costringendola ad un immediato e repentino sconvolgimento espressivo. E fu così che il mirino della sua macchina fotografica inquadrò una minoranza disagiata di emarginati e relitti umani. Diane cercava di conferire “normalità” a coloro che la natura aveva reso infelici: nani, giganti, contorsioniste, gobbi e poveri disgraziati, altrimenti classificati come fenomeni da baraccone, entrarono di prepotenza negli scatti dei suoi rullini. L’impegno artistico di questa audace fotografa trovò terreno fertile nell’approvazione di una critica che scavò a fondo nel suo talento e nel suo coraggio. Morta suicida nel 1971 dopo una lunga serie di crisi depressive la Arbus fu riconosciuta dopo tanti anni di distanza come una delle personalità più profonde di questo secolo. “Fur” (che vuol dire alla lettera "pelo"), il film che ha ufficialmente aperto la prima edizione della festa del cinema a Roma denuncia a più non posso grossi limiti di tollerabilità.
Trattandosi di un ritratto immaginario verrebbe da dire che Shainberg (regista del precedente ed accattivante “Secretary”) ha abusato della sua stessa immaginazione. Pretendere di ricostruire la biografia di una personalità culturale, senza servirsi espressamente di dati storici, bensì pescando nel torbido della fantasia e mescolando le due cose ci sa tanto di pura mistificazione. Le libertà che l’autore si concede annichiliscono qualsiasi buon tentativo di sopportazione; si va da un prologo di partenza con un’escursione della frastornata protagonista in un villaggio per nudisti al peep-show in uno scantinato con una contorsionista che sfoggia gare di abilità con gli arti inferiori. La Kidman fa quel che può lasciando a bocca asciutta (occhio alla controfigura…) il reparto guardoni ridestato dalle valicabili frontiere di questa sua nuova sfida che però sa tanto di sporco riciclaggio. E’ noioso fare sempre citazioni, ne siamo consapevoli, però questo lato oscuro di umanità infelice ci ha riportato alla luce la malsana inquietudine di David Lynch, le pantomime di “Fuoco cammina con me”, le trovate inspiegabili e i vuoti di trama del serial “Twin Peaks”. Se vi piaceva tutta questa roba, prenotate pure un posto in prima fila.
Inoltre la storia d’amore (immaginaria, non immaginaria, non ci è dato di saperlo) fra la protagonista e il suo vicino di casa (Robert Downey Jr.), disturbato da una sindrome che lo rende mostruosamente ricoperto da peli, è di romantica ispirazione ma non ha il tocco creativo della “Bella e la Bestia”. Le pretese autoriali di questo cinema americano, che vuole essere a tutti i costi indipendente ma che diventa schiavo di se stesso, fanno il resto e rendono inevitabile il naufragio. Fra noia e imbarazzo generale la volenterosa prova di un redivivo Robert Downey Jr. passa in secondo piano; e il lungo e interessante piano sequenza sulla spiaggia con le onde del mare urlanti (Shainberg forse deve essersi dato una ripassatina anche con il cinema di Marco Ferreri) lascia davvero indifferenti. Meglio annegare negli occhioni blu da fata, e questa non è certo una fantasia, di una bellissima-come-non-mai Nicole Kidman.
Cinema Alfieri, Corato - Ottobre 2006 (Barisera) |