Una talpa che beatamente gironzola sulla ringhiera di un davanzale e quasi ci saluta. E’ la trovata meravigliosa con la quale Martin Scorsese, beffeggiando il simbolo centrale di questa sua intricata vicenda, tenta di sdrammatizzare un bagno di sangue da antologia. Fare un qualsiasi riferimento ad un solo fotogramma di questa sua ultima fatica sarebbe un reato da codice penale; ci si ritroverebbe a violare il segreto cinematografico che ci obbliga a tacere per non togliere il sapore della degustazione personale in sala. Però la tentazione è forte, se non altro per stuzzicare, con un buon aperitivo, il grande appetito che la succulenta cena, preparata da questo grande chef dell’immagine, necessita. Siamo nei quartieri alti del gangster-movie, l’opera in questione si avvale del respiro ampio della grande tragedia e nelle sue fondamenta nasconde la pietra dura dell’epica del grande autore. Il progetto era nell’aria già quando Scorsese stava ultimando il precedente “Aviator”. Nel 2002 esce ad Hong Kong un poliziesco micidiale (“Internal affairs”) che sarebbe un delitto non rifare in America con un diverso adattamento. Ovvio che il trasloco dello scenario apporta dei notevoli miglioramenti qualitativi per tutto ciò che riguarda il potenziale narrativo della trama. L’azione si trasferisce a Boston , ai giorni nostri per la gioia del mondo occidentale.
Il film percorre così due linee narrative opposte, pur iniziando dalla stessa griglia di partenza; Costigan (Di Caprio) e Sullivan (Damon) sono due reclute appena formatesi nella scuola di Polizia del Massachusetts. Nascondono entrambi due origini opposte: il primo vuole arruolarsi in polizia per venir fuori da una serie di disgrazie familiari, il secondo invece è segretamente legato da tempo alla mala locale per conto del boss protagonista, Frankie Costello (Nicholson), che ha puntato su di lui sin da quando Sullivan era un povero ragazzino senza futuro. Una pedina ideale, allevata e nutrita a suon di quattrini, da inserire negli uffici della polizia locale per favorire le fughe di notizie utili. A Costigan, invece, viene segretamente affidato il compito di infiltrarsi all’interno della banda dei tirapiedi di Costello per fare lo stesso lavoro di doppiogiochista, al soldo della legge, fingendo di partire dal gradino più basso della carriera criminale.
I due si ritrovano ad essere paradossalmente due rovesci della stessa medaglia, due infiltrati in territori diversi ma ugualmente minati con una sola prerogativa: mentire, sempre e comunque, per portare a casa sana la pelle.
E così accade presto che, pur non incrociandosi mai, entrambi si ritrovano l’uno sulla pista dell’altro per conto dei rispettivi padroni in una spasmodica caccia al nemico che toglie il respiro. Costello da una parte che, sente il fiato al collo dei federali, sa benissimo che all’interno della sua banda si annida un traditore e chiede a Sullivan di scovarlo; la polizia di Boston dall’altra è sulle tracce del misterioso agente sul libro paga del boss, che riesce ad anticipare al suo capo le mosse investigative e a mandare all’aria qualsiasi piano per incastrarlo… Aggiungere altro sarebbe un peccato e oltretutto una fatica inutile.
Parabola sul bene e il male, sulle insidie del libero arbitrio e sulle ragioni del cuore e delle pistole, l’ultimo Scorsese vola via in due ore e mezza che, quando finiscono, si lasciano rimpiangere sequenza per sequenza. In più occasioni quando abbiamo dovuto sbilanciarci per individuare il suo film più riuscito siamo stati costretti ad optare per la domanda di riserva. Però forse abbiamo raggiunto il verdetto; “The departed” può davvero essere definito il suo capolavoro. Sceneggiato a regola d'arte da William Monahan che ha conferito ad una struttura a scatole cinesi la perfezione dei meccanismi d’orologiera, è un film che entusiasma, diverte, ma lascia secchi. Si serve infatti di quell’accumulo di imprevedibili colpi scena che ora va tanto di moda ma che, talvolta, rasenta l’esagerazione. Sotto certi aspetti si ritrova ad essere involontariamente una soap nera che gronda sangue e lo fa con una terribile compiacenza. Mostra una violenza quasi divertita, rasenta la dimensione immaginaria del pulp-movie, pur servendosi di argomenti di cronaca che, rispetto all’attuale realtà criminale, rischiano di apparire sminuiti. E, per soddisfare le esigenze commercio-sentimentali, monta un poco credibile (nelle casualità) menage a trois fra i due giovani protagonisti e una bella psicologa che si sviluppa con veri risvolti da telenovelas. Poco male sul serio perché sono difettucci piccoli piccoli che non oscurano la solidità e la bellezza di un lavoro che si lascia ammirare dall'inizio alla fine con vero piacere.
La pole position di attori è quella delle grandi occasioni: i due pargoli che corrono sulla stessa lama, Di Caprio e Damon, funzionano alla grande; Damon soprattutto conferisce al ruolo del poliziotto infame una rivoltante freddezza; Jack Nicholson (baciato dal fantastico doppiaggio di Giannini) tira al massimo le corde della sua capacità istrionica; e Martin Sheen e Mark Wahlberg formano una strana coppia di sbirri vecchia maniera. Sono garantiti gli applausi finali, vedere per credere le concitate fasi conclusive. Il cerchio si stringe; una delizia cinematografica come questa solo tre autori sono in grado di portarla a termine: Scorsese, De Palma o Coppola. Forse sarà una fatale combinazione ma in tutti e tre i casi scorre sangue italiano. Prenotate loro una comoda poltrona nell’Olimpo, i paisà sono tutti con loro.
Cinema Paolillo, Barletta - Ottobre 2006 (Barisera) |