L’amico di famiglia è Geremia (Giacomo Rizzo), un mercante dell’agro pontino dipinto come Shylock, il torvo protagonista della celebre tragedia shakesperiana; si trascina zoppicante coperto dal suo lurido cappotto dove, quando può, nasconde la merce rubata dagli scaffali del supermercato, e ha un braccio ingessato appeso al collo in bella evidenza, ma non chiedetegli perché. Sebbene passi le giornate a contare i soldi e i gioielli accumulati in una cassetta di sicurezza, fa la vita del miserabile: non spende un euro e con i rilevatori si diverte a cercare gli oggetti di valore smarriti nel parco, è persino capace di negare un gianduiotto ad un bambino. E possiede la diffidenza dei saggi perché come ammette: “per falsificare i soldi ci vogliono gli scienziati, ma per falsificare le carte bastano anche due morti di fame”. Si fa soprannominare “cuore d’oro” perché in un certo senso aiuta il prossimo a esaudire i desideri. Ed infatti non c’è sogno che non si possa realizzare senza il denaro che lui generosamente offre in prestito. Ma Geremia non vede l’ora che i sogni degli altri finiscano perché la parte essenziale del suo lavoro consiste nel preoccuparsi del risveglio. Poi se ci riesce può trafugare pure l’anima. Si è scelto questo antico ma redditizio mestiere ed entra nelle case dei disperati con una sicurezza disarmante elargendo sproloqui e filosofeggiando a più non posso sui mali esistenziali dei suoi fedeli clienti. E’ un usuraio senza scrupoli che ha conferito all’immoralità l’eleganza coscienziosa della filantropia: se il mondo ci è stato dato in prestito, lui ci presta il mondo quando lo perdiamo. Forse sarebbe pure il caso, ogni tanto, di mostrargli gratitudine. E’ in combutta con Gino (Fabrizio Bentivoglio), un altro disgraziato appassionato di country e eremitaggio naturalistico, che gli fornisce informazioni dettagliate sui suoi probabili colli da strozzare. Inoltre convive con una mamma anziana, immobilizzata in camera da letto, che lo umilia costringendolo alle mansioni di badante. I suoi occhi perfidi si sciolgono nello zucchero a velo e quasi si addolciscono quando patteggia, ridimensionandoli, i tassi di interesse con Rosalba (Laura Chiatti), la figlia ventenne di un suo cliente. L’amico di famiglia si sta prodigando per facilitare le spese ingestibili del matrimonio e pretende il suo tornaconto in natura. Sembrerà assurdo ma la ragazza sta al gioco e cade preda facile, pur non nascondendo il suo disgusto, delle attenzioni dello squallido strozzino. Per Geremia sarà l’inizio della fine perché le inaspettate conseguenze dell’amore lo porteranno oltre ogni sua immaginazione…
Paolo Sorrentino trasferisce sul grande schermo le ballate popolari che Fabrizio De Andrè realizzava in musica. La sua priorità è puntare il faro sui fallimenti umani, sulle storie di ordinario squallore di disperati e derelitti e quest’ultima ne è l’esemplare punto di non ritorno. Segnalatosi cinque anni fa con lo straordinario ma sfortunato “Uomo in più” (che ebbe critiche eccellenti ma non trovò incredibilmente riscontro di pubblico) è un autore che ha mostrato molteplici segni di maturazione espressiva (e siamo appena al terzo film) spesso servendosi di interpreti insoliti nel nostro panorama piatto (Toni Servillo su tutti, che in pratica ha fatto cinema solo con lui). Ora è la volta di Giacomo Rizzo, un meraviglioso attore napoletano, che vive una seconda stagione nel ruolo della sua vita e che per la prima volta si riscopre protagonista assoluto, dopo lunghe e fortunate esperienze teatrali e cinematografiche (è stata un’icona della commediaccia degli anni ‘70). Il ruolo di Geremia gli è stato cucito addosso e scritto apposta per lui sulla base di personaggi realmente esistiti (una madre anziana ed un figlio maturo nel napoletano legati da malsane complicità). Il film in questione riscopre significati assoluti, spesso indescrivibili; aleggiano riferimenti edipici da tragedia classica e malesseri di natura contemporanea e per questo più gravi e mostruosi. Straordinaria è l’autocondanna di un furfante che nella consapevolezza di aver scelto la strada sbagliata per perpetuare l‘eredità paterna, alla fine di ritrova ad affrontare se stesso e cerca di farsene una ragione morale. Anche se poco plausibile e d’effetto ci sembra la propensione di una graziosa ventenne (la bella ma algida Laura Chiatti, che non si risparmia in forzature) a spalmarsi di fango putrido perché le circostanze lo impongono (ma perché?). Tuttavia il film ha un’incredibile potenzialità visionaria che a volte risulta davvero spiazzante. Il regista ha talento, lo si sapeva, ma spesso ne fa un uso smodato. La prova attoriale dei protagonisti è pregevole, ma questo purtroppo non lo rende il lavoro più riuscito di questo apprezzabile autore. Troppi virtuosismi nei dialoghi che nella loro profonda intensità meriterebbero (Sorrentino ma ci hai pensato?) un più appropriato adattamento teatrale. Con Rizzo sottomano non sarebbe un’idea malvagia. Forse gli nuoce il rimaneggiamento di questa versione bugiarda (diversa da quella presentata sei mesi fa, frettolosamente, in concorso a Cannes), penalizzata da invadenti “visioni” e incongruenze narrative che ci costringono a questo punto a pretendere quella originale. Sorrentino non tradisce le attese, ma neanche le soddisfa. Ma sarebbe ingiusto negargli una prova d‘appello. Va precisato che la visione non è certo una passeggiata e merita la concentrazione necessaria per esplorare il suo mondo complesso, mai come stavolta legato alle oscure sfaccettature dell’anima umana. Un viaggio allucinante nei meandri oscuri della cattiveria che non muore mai. Perché come ammette giustamente il protagonista: “Solo i buoni muoiono bambini”.
Cinema Impero, Trani - Novembre 2006 (Barisera) |