Riscoprire Pasolini per la prima volta dopo vent'anni. Nel 1971 non ero ancora nato e "Decameron" non ebbe vita facile sotto l'aspetto della divulgazione. In seguito agli scompigli sessantottini il cinema italiano aveva riacquistato una dimensione più nuova, più libera. Già a suo tempo Grazzini e Kezich interpretarono questo film come l'inizio di una benefica sosta salutare, dopo opere difficili e pessimiste. L'inizio, attraverso la "trilogia della vita" di un percorso più tranquillo, più autentico.
"Il decameron" è infatti un film suggestivo, quasi un'opera pittorica che ha punti di forza nei costumi di Danilo Donati, nella goliardica figura di un Pasolini-Giotto che unisce le otto novelle scelte dal testo del Boccaccio. Si individua un lirismo scenico e un'acutezza espressiva che solo un poeta come Pasolini avrebbe potuto raggiungere. Non è la pestilenza il motivo che spinge i narratori a raccontarsi queste storie giocose e divertenti. Tuttavia il traino narrativo è affidato all'avventura di Ciappelletto (Franco Citti), un malvivente che riuscirà ad ottenere una beatificazione, dopo una falsa confessione. Seguono gli sltri suggestivi frammentati.
Ambientato nel canagliesco mondo partenopeo fatto di giocosità e vitalità solare, ha il suo punto di forza nella straordinaria foto di Tonino Delli Colli. Inaugurò un lungo filone libertino che ingozzò il mercato e il noleggio cinematografico italiano per quasi un triennio. E' uno dei film più interessanti di Pasolini, ma non uno dei migliori.
VHS - Aprile 1989 |